l. - ll«Libro delle comete»
Preambolo
Bisogna distinguere la cronologia del pensiero filosofico, o meglio
il pensiero della cronologia del pensiero filosofico, dal pensiero (filosofico).
Il pensiero, comunque, non dovrebbe dichiararsi disposto a farsi da cronologia...
Il pensiero, comunque, non dovrebbe dichiararsi disposto a farsi da cronologia...
Descrizione del «Libro delle comete»
In un primo tempo una riflessione così fugace (una connessione
mentale così rapida fra un modo di dire, un gesto e l'idea di educazione), che
pur si era ben impressa nella mia mente, non mi era risultata molto chiara,
benché, come non avrei tardato a constatare, quel genere di scommessa con sé
stessi ben si addicesse alla mia condotta; ma proprio a ciò, avrei compreso
meglio in seguito, ovvero al fatto che si trattava di una mia consuetudine,
era dovuta quella poca chiarezza.
Il senso di quell'annotazione di ordine psicologico è più o meno il seguente: che quando si cerca in un fatto il «segno» di qualcosa che potrà o non potrà avvenire, un presagio insomma, è come si consultassero le viscere degli animali, o di fanciulli immolati dalla crudeltà d'imperatori, oppure il volo degli uccelli; mostrando, fuori di ogni appello al naturalismo della morale, in questo modo, quale sia la reale forza della ragione nei confronti della «educazione», ovvero di tutto ciò che alla ragione tende a sottrarsi, per comodità della vita.
Il senso di quell'annotazione di ordine psicologico è più o meno il seguente: che quando si cerca in un fatto il «segno» di qualcosa che potrà o non potrà avvenire, un presagio insomma, è come si consultassero le viscere degli animali, o di fanciulli immolati dalla crudeltà d'imperatori, oppure il volo degli uccelli; mostrando, fuori di ogni appello al naturalismo della morale, in questo modo, quale sia la reale forza della ragione nei confronti della «educazione», ovvero di tutto ciò che alla ragione tende a sottrarsi, per comodità della vita.
Ci si aggira insomma in un campo, suggestivo, ove tutto alla fine
appare sospettabile di non essere il vero ma l'utile, nel quale è come si
avesse cura di coltivare solo le superstizioni, i pregiudizi (tutto essendo in
qualche modo riconoscibile come un pregiudizio), nel quale l'idolatria, il
fanatismo sbocciassero come immagini con molti colori.
Per me fu questo sapere ad un tratto dove potessi trovarmi, in fondo,
il primo approccio con la cosiddetta filosofia dell'illuminismo. Questi
concetti erano iniziati - era non il primo approccio, ma in sostanza il primo
che fosse veramente sentito, con l'illuminismo - per me, dopo qualche tempo,
per influsso diretto dei Pensieri diversi
su una cometa di Pierre
Bayle: dove le comete sono una realtà evidente, ma dove esse in realtà sono la
manifestazione del pensiero che le interpreta in quanto segni.
Quel libro, che a suo tempo poté parermi pedante, e anche troppo
legato alla sua età, ad ogni rilettura oggi si mostra invece ricco di una
razionalità inaugurale (concatenazione razionale che inaugura nel suo fare
l'illuminismo). Essa oggi si mostra negli abiti di una bella e profonda anticipazione
della più grande (nel senso di celebrata) temperie illuministica, ma in fondo
- lo dico ripensando alla difficoltà di determinare (quantificare) quel fenomeno
della nostra civiltà di pensiero - già illuminismo (e tale non solo perché
cartesianismo metodico e prudente delle «idee chiare e distinte», oppure, al
fondo, delle «due sostanze»).
Il titolo, più lungo di quello qui trascritto, e che non restò
invariato nel susseguirsi delle edizioni, si spiega con l'apparizione della
cometa del dicembre del 1680, in un'epoca, direi così, di apparizioni di comete,
e soprattutto in un'epoca sensibile culturalmente a tali fenomeni. Dopo quella
del 1664-1665 - è la cronaca - la Francia sembrava essere precipitata in una
crisi profonda: alle disavventure belliche della guerra d'Olanda si erano
aggiunte la depressione economica, le carestie, le morie di animali e le
pestilenze.
La cometa
apparsa nel 1680 (evento naturale, la cometa, si badi bene) dunque, aveva
suscitato nell'opinione pubblica un'ondata di previsioni pessimistiche: senza
che gli uomini di scienza e i «dotti» pensassero ad una confutazione.
Se tutte codeste cose vengono oggi in rilievo, però, ciò significa
che i tempi, allora, in certo senso erano abbastanza moderni, perché da quel
modo di vivere gli eventi naturali, accentuato da certa drammaticità storica,
non dovesse scaturire il bisogno di una interpretazione.
La questione degli influssi delle comete sulle cose umane - dice
la ricostruzione storica - era molto sentita nella cultura francese già da
tempo: a coloro che ne fornivano una spiegazione formalistica si contrapponevano
quanti adottavano invece la linea «cartesiana» dell' «orientamento
antimagico»: già allora per esempio era ben determinata la contrapposizione,
inesauribile, dell'astrologia all'astronomia.
Fu in questo contesto l'«effettività» (della paura e) della
superstizione (e furono secondo taluni i pregiudizi di un certo "dottore
di Sorbona"), che se non era infondata dal punto di vista psicologico,
era anche il retaggio di un'antica ignoranza («I fisici - scrive Bayle - non
sanno come veramente [le comete] si formino. Gli astrologi ammirano i loro
movimenti e le loro dimensioni, senza riuscire però a capirci granché», a
spingere Bayle a scrivere una «Lettera» sulle comete, abbracciando di fatto la
linea cartesiana. Ma una serie di circostanze lo indusse poi a dare ulteriore
sviluppo ai contenuti, fino a ricavarne un lavoro che andava ben al di là delle
proporzioni originarie.
I Pensieri crebbero, per ammissione dell'autore,
come una città, cioè disordinatamente; secondo un'immagine successiva del «signor Des
Cartes», intorno all'antico borgo (la città, diremmo noi, storica) sorsero
tante case, di grandezza e gusto diversi, senza un piano preordinato. Infatti
nel Libro il succedersi degli argomenti appare piuttosto una concatenazione
letteraria, che logicamente sistematico; non vi è metodicamente una
proposizione che vada dimostrata (la filosofia del «sistema»), e una
concatenazione espressa ad esempio fra la dimostrazione e il corollario; e vi è
piuttosto per i vari argomenti e soprattutto episodi, avvenimenti, che formano
l'oggetto del pensiero, il modo diverso di pensare, commentando fatti
dell'epoca; ciò che dà luogo ad una certa quale impressione di discontinuità.
La stessa questione dell'influsso che le comete eserciterebbero o no sulle cose
umane viene abbandonata dopo la parte iniziale dell'opera, per essere ripresa,
sembrerebbe a bella posta, negli ultimi paragrafi.
Colpisce, nel libro, la varietà degli argomenti, legati alla vita
storica, che vi sono trattati: vi è la possibilità di scomporlo in un serie di
libriccini: riflessioni sulle conversioni degli ugonotti, riflessioni sulla
pace di Nimega, riflessioni sui costumi - e la diffusione della magia, e la
decadenza morale - alla corte di Caterina de' Medici, riflessioni sulle
abitudini o manie di Alessandro il Grande e di Luigi XI di Francia, ecc.
Si potrebbe parlare di uno stile giornalistico, a proposito del
Libro delle comete, uno stile sensibile all'attualità dei problemi e piuttosto
comunicativo: e tale impressione non può dirsi errata, perché Bayle scriveva
per i demi-savants (che sono la raffigurazione di
«pubblico»), per coloro cioè, appartenenti per buona parte alla classe dei
mercanti, che non dedicassero molto tempo allo studio e alla cultura. Lo stile
però non si risolve, ad un più attento esame, nell'attualità degli argomenti di
cui lo scrittore si occupa, e in esso si addensa o si raccoglie altro: in
generale a mano a mano che si procede nella lettura viene in risalto una sorta
di opera civilizzatrice, o di bonifica, da parte della ragione. Il sentore di una
civilizzazione proviene dal fatto che il lavoro della riflessione sia, nel suo
andare fuori delle mura accademiche, moneta circolante, un mercato delle idee,
oggettivo; perché in ciò emerge il progetto della ragione, di attuarsi.
L'unità, profonda, dei Pensieri è da cercare nei contenuti di codesta
opera civilizzatrice, e in una sorta di senso del dovere: il filosofo-scrittore
avrà la sua qualità in ciò che si sarà riusciti, paradossalmente, a strappare a
codesta sua attitudine di autore per i demi-savants.
Nella pluralità e nella eterogeneità dell'oggetto vi è in realtà, dal punto di
vista del pensiero, la scoperta di una unità del pensiero nell'oggetto.
Dunque non si può negare che nonostante le impressioni di discontinuità,
eterogeneità di problemi ecc., l'unità dell'opera sia profonda. I fatti di
attualità, quelli che si prestano ad essere definiti «cronaca», sono, dal punto
di vista filosofico che contraddistingue il modo come essi sono trattati nel
Libro delle comete, le piccole cose, ovvero le cose del mondo nella loro
mondanità. La quale mondanità, oltre che una mera discesa dal monte Olimpo,
ovvero dal cielo teologico, oltre che qualcosa di avvolto ancora
nella sensazione di un allontanamento, è lontananza, l'apparire
dell'«essere» come «storia» oggettiva.
La ragione civilizzatrice - questo è un suo sintomo evidente - il
dovere di ragione, nel quale l'illuminismo dal punto di vista della interpretazione
può avere il suo riconoscimento, ha i suoi corollari:
non si può fare politica in base ai presagi, non si può credere
negli influssi sinistri delle comete, o delle eclissi, così come non si può
ritenere che gli uomini agiscano in base alle proprie opinioni o princìpi, o
alla propria religione; oppure che l'intolleranza sia benefica per lo Stato e per la società.
Temi apparentemente estranei l'uno all'altro - il discorso sulle passioni e
quello sulla magia alla corte di Caterina de' Medici; oppure fra le
comete come cause e i princìpi di morale o religiosi come cause -
allora si nota come abbiano le loro connessioni, proprio a causa e del
mondanismo e del deontico che caratterizza la filosofia bayliana.
Tutto questo è il frutto conclusivo di una filosofia coerente e viscerale
del realismo spicciolo, che è liberata storicamente a causa del metodo
cartesiano: «[...] il menomo motivo di dubbio che troverò basterà per farmele
tutte rifiutare».
Bayle funge da anello di congiunzione tra la filosofia cartesiana
e i grandi illuministi che verranno dopo di lui. L'unità di un libro come le
Riflessioni si annida appunto, in considerazione di codesto profilo di
continuità storica, nella ragione, che si è data il compito d'illuminare, di
schiarire, e che in ciò si è riconosciuta come un dovere.
In altre parole: da una parte i Pensieri (per essere Bayle anche
scrittore, che non sta sui libri) sono documento del passato: per il modo come
sono nati, per i contenuti, per il riscontro immediato che hanno con la realtà
del tempo, della quale, appunto, parlano molto, essi s'incontrano, nella
sensibilità di chi ami le cose storiche, con le antiche Cronache e valgono a
introdurre il lettore nel clima culturale di ime Seicento. Ma essi,
dall'altra parte sono, per il fervore morale che li caratterizza, il «Libro
delle superstizioni».
Perché, in certo senso, è vero che il «Libro delle superstizioni»
- avverandosi nel profondo dell'economia delle cose ciò che disse Seneca della
filosofia morale, che su di essa si era detto già tutto, ma non si sarebbe mai
detto tutto - non finirà mai di essere scritto: è un libro umanamente
funzionale. Ragione e superstizione, in fondo, sono convertibili l'una
nell'altra, ed una spiegazione, nella forma delle cause, di ciò è che vi è fra
di esse il legame dell'opposizione. In realtà la ragione vera, anche quella che
s'identifica con la volontà di civilizzare, di fronte alla superstizione e ai pregiudizi, non è
quella che semplicemente li guarda e li disprezza; ma sente piuttosto che nelle superstizioni si
addensano cose molto importanti per la coscienza, filosofica, dell'uomo. Così forse è ben fatto che
Bayle abbia riflettuto molto sulle comete dal lato di Dio; perché poi razionalizzare Dio per il
percorso della ragione è un che d'ineludibile.
Ragione, o progressismo cristiano?
Il Libro delle comete presenta aspetti devozionali - quali in Bayle
permangono - e ha una generale intonazione religiosa; non tanto e non
solo, direi, per certa fraseologia o certe immagini - conservate - come
quella dei «demoni», che fanno e disfanno, di un bigottismo pagano
e popolaresco (che pure qua e là affiora); ma nel senso che la prima
impressione che si ha nel cominciare la lettura è di trovarsi di fronte a
motivi che furono già propri dell'antica apologetica cristiana.
Questa sensibilità bayliana per l'apologetica si manifesta ad esempio
laddove egli si domanda: l'idolatria dei Gentili, perché non ha avuto
apologeti? Si trattava - è la risposta - «di una causa perdente in
partenza» e cioè: «Era una causa così debole che non era necessaria davvero
molta abilità per metterne in risalto l'inconsistenza, né d'altro canto
nessuna eloquenza [neanche quella del «terribile Carneade»] era in grado
di sostenerne la debolezza».
Bisognerà vedere cosa vi sia realmente (oltre cioè al sentimento
cristiano della fede) dentro la tanta avversione bayliana per il paganesimo. E se non
costituisce risposta esauriente, è un sintomo, una vera traccia, quello suggerito dalla immagine di una
debolezza razionale delle argomentazioni (possibili) a favore del paganesimo,
debolezza che non è nell'arte dell'argomentare.
Dunque: apologetica e non apologetica.
Se bisogna prendere sul serio la rassicurazione che
accompagna costantemente, a causa della sua novità, il lavoro della
ragione in Bayle e cioè, per ciò che qui interessa, il concetto che i mali
del cristianesimo sono dovuti al cattivo retaggio dei costumi pagani,
allora si nota una eco di certo progressismo cristiano: ritenendo per
progressismo cristiano il fatto che in una determinata epoca storica
il cristianesimo, per la sua ragionevolezza in quanto teoria, sia valso
più (e possa essere sempre così, all'apparenza, finché resti
traccia di paganismo nella condotta dei cristiani) del
culto pagano.
Il filosofo, nel voler dimostrare come l'antichità e
l'universalità di un'opinione non siano un segno di verità, richiama un
passo di Minucio Felice, dove si dice che «tutto è incerto fra gli uomini,
ma più tutto è incerto, più è il caso di meravigliarsi che alcuni, per
la repulsione che provano di fronte a una ricerca esatta della verità,
preferiscono abbracciare temerariamente la prima opinione che si presenta
anziché approfondire le cose a lungo e accuratamente». In questo passo,
che Bayle con spirito scientifico si affretta a rettificare sostituendo
quel «più è il caso di» con un «meno è il caso di», in realtà egli è come se
ritrovasse se stesso, nella possibilità, e nel dovere quasi, di coniugare
il suo cristianesimo con il suo progressismo.
Io proverei ad accostare quindi i due pensatori sotto tale
profilo, muovendo dalla considerazione che entrambi, in quanto
progressisti e cristiani allo stesso tempo, sono accomunati, per la fama,
dal fatto di avere condotto, essenzialmente, una critica dell'idolatria:
la quale occupa tanta parte del Libro
delle comete e che parimenti
può essere ritenuta uno degli argomenti più persuasivi (per il fatto di
rifondare la questione della natura degli dèi) per l'abbandono, da parte
di un pagano come Cecilio, della sua buffa religione.
L'Ottavio di
Minucio si domanda se possano essere venerati come divinità semplici uomini
solo perché distintisi per il bene fatto ad altri mortali: «In conclusione
- secondo lui - gli dèi non si reclutano né fra i morti, perché Dio non
può morire, e neanche fra quelli che sono nati, perché tutto ciò che nasce
è destinato a morire: è divino solo ciò che non ha né inizio né
tramonto».
All'argomento, trasparente dal punto di vista della logica (in
esso la ragione acquista, sul terreno della religione, una sua
personalità), viene aggiunto del colore, attraverso una immagine molto
efficace: «Sono divinità quelle statue destituite di sensibilità in bocca alle
quali i topi fanno il nido?».
L'accostamento tra i due pensatori (Minucio e Bayle) è reso possibile
dal fatto che il progressismo e la personalità della ragione si ha sempre,
al di là delle differenze di epoca, in ciò: che l'ingegno si faccia portatore di un'idea, religiosa,
che salvi la bocca delle statue, divine, dai topi, che salvi il Dio
liberandolo dagli idoli e riconoscendogli una ben maggiore dignità di quanto
l'arbitrio umano non gli dia; se, quasi, il fare il nido, dei topi, può
essere paragonabile all'agire, arbitrario, degli uomini.
Dopo secoli di cristianesimo vissuto, Bayle illustra i caratteri
ridicoli del culto pagano, ed anche gli aspetti di crudeltà ad esso
inerenti: e in generale l'impressione che si rinnovelli l'idea di un
progressismo cristiano è dovuta al fatto che oggetto della critica resta il
paganesimo, ovvero l'idolatria (ritenuta pagana per definitionem e peggiore dell'ateismo), e la
supposizione inevitabile che la filosofia bayliana, come si può
evincere dal carattere e dai contenuti stessi dell'argomentazione, sia in
fondo un riacutizzarsi (il riacutizzarsi, nell'epoca) della sensibilità per
temi cari al cristianesimo.
Non si possono avere dubbi, del resto, come si dice, sul conto della fede di Bayle, sulla sincerità del suo sentimento religioso: e si
dovrà credere a maggior ragione in codesta sincerità, però, se si
considera l'argomento «invincibile» - così egli lo definisce - per provare
la necessità della grazia.
Quella sincerità si pone cioè in questi termini: che la diffusione
della religione cristiana, la cultura cristiana, è una cosa distinta
rispetto alla religione del «cuore»; che una cosa cioè è che nessuno
dubiti «della divinità della religione cristiana» o che nessuno ritenga «una favola quanto si dice dell'altra vita», ovvero la conoscenza della
verità evangelica, e altra cosa è il sentimento religioso come verità del
cuore, e cioè: naturale «disposizione di cuore tale da farci trovare più
gioia nell'esercizio della virtù che nella pratica del vizio».
Anche se Bayle non dice «naturale», ma vede il collegamento (si
parla di grazia) fra Dio e «lume del nostro spirito», si ha qui l'impressione che in quel collegamento vi sia l'apertura al discorso su una morale
naturale.
Dopo secoli di cristianesimo vissuto, Bayle illustra i caratteri
ridicoli del culto pagano, ed anche gli aspetti di crudeltà ad esso
inerenti: sembra proprio di leggere, in una simile constatazione, la
metafora storica delle guerre di religione, ove il sangue è denotativo,
per avervi un legame, di ciò che si presta all'ironia razionale, cioè -
per Bayle: c'è un passo dove ricorre questa sensazione di trasparenza
semantica - di Dio. Che senso ha, ci si dovrebbe domandare cioè, sottoporre
a critica i costumi pagani in un'epoca che si definisca cristiana, se non
quello di criticare, obiettivamente, i costumi cristiani? E poi l'altro, dell'andare
ad incidere storicamente, attraverso la critica del cristianesimo reale,
nel cristianesimo ideale? La religione in realtà, come apparato teorico,
diviene sempre di più oramai in Bayle (questo accadeva in generale nelle controversie religiose dell'epoca,
essendovi dietro la controversia il bisogno di giustificare razionalmente ciò che altrimenti sarebbe
stato opinabile dogma di fede) questa o quella religione, dunque un che
di soggettivo, essendo la profonda direzione storica del suo pensiero,
soprattutto nella prospettiva religiosa, la ricerca di una possibile
inattaccabile verità di ragione.
Nel fatto che non solo il paganesimo ma anche il cristianesimo
siano sottoposti alla disamina attenta, e paradossale comunque, da parte
della ragione (che in questo si serve della documentazione, dell'ausilio
voluto come inoppugnabile di fatti certi), non vi è forse chiaro segno, innanzitutto, e il bisogno storico, di una rinnovata forza
critica della ragione?
Questa forza critica inoltre non necessariamente s'identifica con
ciò che secondo certa interpretazione (che è diversa da quella che ammette
in Cartesio come decisiva la possibilità di una autonomia della fede
religiosa e della morale rispetto all'opera razionale e
scientifica) avrebbe fatto Cartesio: rifondare con il dubbio la religione
su basi pure razionali, salvare quindi con una operazione di recupero la
religione. Già in Cartesio infatti, si potrebbe dire, il debito accumulato
dalla religione verso la ragione sembra quasi insolvibile.
La domanda dunque è: ragione, o progressismo cristiano?, e la sua
formulazione può essere anche un'altra: che cosa interessa più a Bayle,
criticare i costumi pagani, ovvero i costumi cristiani in quanto ancora
pagani, ché tali in fondo, per lo scetticismo e di fronte al senso storico
delle ricostruzioni (storiche) sono e non sono; o non piuttosto, essendo i
costumi tali, prima di tutto umani o storici, scindere la religione (in
quanto rivelazione, e dunque debito inestinguibile) dai costumi, ed
interessarsi essenzialmente di questi?
La risposta, guardando al fondo del problema, non potrà non essere
in un primo tempo, per così dire, salomonica. I Pensieri sono il libro scritto da un cristiano
contro i pregiudizi e l'ignoranza dei cristiani; in altre parole nel
pensiero di Bayle sono compresenti i due aspetti: da una parte la critica
della vecchia (al confronto di una intelligenza attuale, più curiosa dei
costumi) società cristiana, quasi fosse vista da un più moderno (più
teorico intelligente) cristiano, o meglio: da una parte il bisogno dì
purificazìone religiosa e religiosa purificazione dei costumi, del
cristianesimo; dall'altra la constatazione della necessità storica di certi
costumi e in generale un atteggiamento storico positivo nei riguardi della morale e un atteggiamento
razionale positivo nei confronti della storia, che è indice di un cammino effettivo della ragione.
Il pensiero di Bayle si muove sempre, in fondo, in un modo, in un
mondo dualistico, in un'aria intensa di scissione, quale è, storicamente, il mondo della
devozione e della superstizione, in cui (con Cartesio) si sia aperto per così dire il varco per la possibilità di un'uscita;
il pensiero bayliano anzi è lo sviluppo, dato per svolgimenti, al dualismo del pensiero (di
qui, su terreno interpretativo, la identificazione della ragione bayliana con la ragione scettica,
oppure certa supposizione di un suo legame, sentimentale, col manicheismo); e in tal senso i comi
del dilemma, interpretativo, per quanto attiene alla sua filosofia sono quelli: della
autocastigazìone della morale cristiana da una parte, per produrre altra morale cristiana per la mera perpetuazione
di morale dello stesso stampo, e della crescita dall'altra del lato razionale, civile,
dell'uomo europeo.
Vi è poi, a tenere il giudizio nella incertezza, il profilo assai
importante della natura delle conclusioni che il filosofo nel suo scetticismo e moralismo deve
trarre dai suoi ragionamenti particolari: che cosa serve a farci riconoscere la ragione? in un
contesto, ciò non va dimenticato, di morale e di cultura cristiana?
E bisogna però convenire sulla duplice verità: che se la scepsi è per buona parte il frutto della remora religiosa e fideistica, ciò
appartiene al Bayle «soggetto», nel quale difficilmente può dirsi si risolvano gli
sviluppi storico-obiettivi del suo pensiero.
Se è vero che senz'altro e non solo in un primo tempo un certo
(persino) animus, una ostinatezza cristiana sembra inestirpabile dal pensiero di Bayle, è anche
vero che in lui sono all'opera, come un che di decisivo per la storia del pensiero, il sentimento
della necessità storica, l'estraneità alla intelligenza che concluda, una spontanea
tendenza allo schiarimento, alla verità
di ragione. Ma, oltre a dir questo, e per disinca gliare qui il
giudizio dalla prudenza, si può fare ricorso al buon senso per considerare che se Minucio scriveva
in un'epoca nella quale il cristianesimo forniva le risposte più ragionevoli e persuasive ai
bisogni progressivi, il progressìsmo di Bayle può rappresentarne l'inversione, per cui non vi è
tanto un nuovo dio, quanto piuttosto la liberazione (una uscita di Dio) dall'arbitrio umano, dall'Umano,
dun e dalla storia, mediante la razionalizzazione dell'uomo e non di Dio. E' evidente dunque come
il progressismo bayliano debba avere un'altra natura, quella sua propria natura, o spirito, per cui di lui è stato detto come
fosse «in contraddizione con la sua fede».
Si è notato così prontamente, dagli interpreti, come in lui la religione debba vedersela con la ragione.
Si è notato così prontamente, dagli interpreti, come in lui la religione debba vedersela con la ragione.
In altre parole: quale può essere considerato realmente il
suo obiettivo, visto che esso consiste in una società cristiana che si liberi alfine dai costumi
pagani? Finché essa resterà idolatrica (pagana) (ma la infiltrazione, diciamo così, di costumi pagani nel
cristianesimo si rivelò ab antiquo una necessità storica), essa in che senso non potrà dirsi
cristiana, se non secondo il canone dettato da una rinnovata razionalità? Si tratterà allora di
una società tanto più cristiana quanto più razionale, e dunque di una società comunque più
razionale. Il che può essere confermato dal fatto che in tale società ciò che accadrà di nuovo sarà che
an che il cristianesimo (rappresentandosi in ciò l'uscita dal medioevo e dalla filosofia
dell'lmperium) avrà la sua giustizia e la sua libertà. Nella quale varrà, storicamente, come
premessa, che la ragione umana non resti più nella condizione di essere assorbita nel suo
progressismo perché vittoriosa contro l'oscurità dal cristianesimo.
Riproponiamo la questione, se è vero che quella contraddizione tra Bayle e la sua fede può essere superata. Egli sostiene che Dio
non interviene continuamente, ovvero direttamente, nelle cose umane, e che queste sono regolate
da «leggi generali di natura».
Dio, per definitionem, non può non essere un ottimo legislatore
e come tale egli non può derogare alle leggi «generali di natura» che ha stabilito, oppure modificarle spesso. Egli non può volere il particolare ma il generale e quindi i suoi interventi nella
storia dell'umanità avvengono (dovrebbero in teoria avvenire) solo in casi eccezionali,
attraverso i miracoli.
Che senso ha dire codeste cose, teologico-filosofiche, nell'epoca
o nella terra nella quale il «miracolo» anche nel suo strano e
profondo nesso con la magia, è un campo tipico di combattimento?
Questa (del rapporto fra legge generale, miracolo e Dio), che è
più o meno la costruzione bayliana, si presta a due interpretazioni,
che paiono opposte. Da una parte, con mentalità non religiosa, se ne può
dedurre che le comete, le pestilenze, gli eventi infausti vanno ritenuti naturali e che alla
ragione resti il compito (con la coscienza certo del suo limite) di indagarne le cause; dali'altra, per quello che è il modo
provocatorio di porre le questioni da parte di Bayle, che l'abilità della ragione consista nel saper
separare, non altrimenti che per negativum, il naturale dal cosiddetto miracoloso. Se il primo punto di vista, quello non
religioso, ovvero quello per così dire esteriormente naturalistico, non si addice almeno come
punto di partenza al pensiero bayliano, più umanistico che naturalistico (sia pure, come sarà
ripetuto in seguito, tutt'altro che estraneo al naturalismo) e più religioso che irriverente,
l'altro gli è congeniale, proprio perché de facto il risultato del suo metodo è questo porre
questioni irresolubili laddove prima di lui esse non lo erano semplicemente in forza della fede.
L'irresolubilità come la debolezza, o la stessa ragione che solo nega e distrugge, sono in lui l'elemento
nuovo, che s'insinua e conquista il suo posto, dunque si pone come risultato storico di pensiero
fra l'uomo e Dio, proprio come «spirito» (l'irresolubilità è per così dire «costitutiva»).
Gli avvenimenti che si credono miracoli, se per solito mancano
motivi sufficienti per affermare che lo sono, ciò si deve alla negatività della ragione umana, nel
senso che di essa ragione (ovvero nei termini in cui essa può avere sue certezze) solamente è
ragionevole che si parli.
Stando così le cose, fino a che punto resterebbe da stabilire
quanto sia importante o addirittura prioritario, per quella stessa ragione che ha assimilato in fondo
canoni naturalistici, e che in
qualche misura li rap presenta per la storia del pensiero
filosofico, capire quando ci si trovi, veramente, in presenza di un miracolo?
Dicendo questo, in realtà si dice altro: che vi è una
caratteristica, nel naturalismo acquisito da una moderna ragione, per cui esso non potrà mai distinguere,
all'infuori della mera opinione, o del sentimento, il naturale dal miracoloso.
Questo (si ricolleghi il discorso al senso di apertura che già si
ha nella descrizione del sentimento di fede come religione del cuore e cioè «disposizione di cuore»: supra) può contribuire a spiegare in che
senso la ragione, secondo Bayle, in casi del genere, debba per così dire
cercare un rifugio nella rivelazione, dare per scontati i miracoli di Gesù o il dividersi
delle acque del Mar Rosso al passaggio degli ebrei. La rivelazione è una cosa, è in contrasto stridente con la ragione, e la
ragione è un'altra, certo; ma l'irresolubilità è, si diceva, costitutiva e per un uomo come
Bayle, che ha dato grande impulso storico e carattere costruttivo proprio all'uso della ragione
negativa (che schiarisce cioè perché nega; ma i risultati della sua ragione non sono negativi) ciò
equivale ad una inversione di tendenza nella riflessione sul rapporto fra i due «poli», di fede
e di ragione.
Parallelamente, per quello che è il nostro argomento, si
nota come il filosofo faccia la seguente considerazione: «Supponiamo che un
bandito uccida nel fitto di un bosco uno sconosciuto, sapendo soltanto che è necessario
disfarsene per impadronirsi delle sue spoglie; se dal suo assassinio nasceranno poi infiniti disordini
o infiniti benefici, non per questo la sua colpa davanti a Dio sarà maggiore o minore». In questo
brano, dove l'intonazione è religiosa, si specchia un concetto che prende corpo nella
seconda parte dei Pensieri attraverso un'accentuazione della diversità nei criteri valutativi fra la
mente divina, la giustizia divina, e quella umana.
Ciò sembra fondamentale in Bayle, ciò che è storico in lui - altrimenti egli non avrebbe sollevato in certi termini il problema - non è (tanto) il pensiero e il
bisogno morale attivo della conciliabilità fra due mondi (due «città »), il far da ponte,
quanto quello della profonda diversità di essi. L'uso della ragione, che è definita essenzialmente
come ciò che nega e che così effettivamente procede, in lui ha questo scopo, obiettivamente: di
tagliare i ponti fra il mondo della perfezione e quello della imperfezione.
Le riflessioni sul male possono essere significative a questo ri
guardo, perché vi emergono (articolo Pauliciani, del suo Dizionario) due punti
significativi. Il primo è che per il principio inattaccabile di conseguenza, per cui ab actu ad
potentiam valet consequentia, il male (fisico e morale, secondo la tradizionale partizione) esiste nel
mondo pur dovendosi presumere, pensando il libero arbitrio come concessione, la volontà di Dio
come bene; il secondo è quello che si trae da una citazione dal Cicerone del De natura deorum, dove
(lib. III, 27) vien detto che: «[ ...]dal dono non appare evidente la natura del donatore, né
d'altra parte se chi l'ha ricevuto ne fa un buon uso , non per questo chi l'ha dato l'ha dato da
amico»; per cui (detto con parole di Bayle) «[...] la migliore e più naturale risposta che
si possa dare alla questione "perché Dio ha permesso all'uomo di peccare?" è
dire:"non ne so nulla, credo soltanto che Dio, per agire così, abbia avuto delle ragioni degne in tutto e per
tutto della sua infinita saggezza, ma che mi rimangono incomprensibili » . Il pensiero della
irriducibilità dei due mondi (l'aria, intensa, di scissione, di cui si è fatto cenno sopra) è come
l'atto stesso del pensiero razionale: tutto il Libro delle comete sembra essere la razionalizzazione, condotta all'estremo limite, della diversità dei due mondi. Il pensiero è,
semplicemente, conseguente, perché il principio d'inconciliabilità deriva per conseguenza da quello di
diversità. La diversità , quale s'impone come coscienza dovuta al procedimento
negativo del pensiero, in tal modo è un valore positivo e in ciò progressivo,
che avvia al la insensibilità quasi come categoria e come valore; ciò si avverte e si riassume in fondo nel cosiddetto sacrificium
intellectus, che è la formula di Cassirer: sacrificare, con l'uso, la ragione, che così diviene
terrena, alla morale. «Sacrificio» è in tale contesto bayliano una parola indicante il porsi e
l'affermarsi di ciò che si dice si sacrifichi, e non la sua dissoluzione: qui infatti si apprezza
il punctus saliens di ciò che si suole definire filosofia mondana, quella stessa del Giove
invecchiato di Bruno, perché la ragione rende col «sacrificio» tutto (o quasi) terreno: ma è poiché essa
così libera il (ritenuto) divino dal «terreno», che il primo viene reso impenetrabile (ricorso alle
Scritture) e contenibile nello scrigno della fede e della soggettività.
In certo senso ciò non deve sorprendere, potendo spiegarsi con
l'elevato grado del sentimento (calvinista) della trascendenza (divina) il fatto che Dio per il
bisogno religiose ma prima razionale di purificazione, venga in tal modo allontanato
dall'uomo e la giustizia divina sia posta nel cuore degli uomini, chiedendo troppo al povero cuore, che
è quello che è; nello stesso tempo quindi essa diviene un che di assai più alto- assoluto,
libero da ogni legge (per l'etimo) - rispetto alle loro teste. De facto, il «sacrificio» quindi
significa che l'uomo viene allontanato, tanto filosoficamente quanto moralmente, da Dio. Un solco è
già tracciato, obiettivamente: la definizione di ciò che sia «miracolo» va in certo senso (dal punto
di vista della interpretazione) messa da un canto: ad essa non compete più il nocciolo vitale
della questione, e il rilievo va dato, invece, all'idea, crescente, di una diversità ed
inconciliabilità (dei due mondi, divino e umano). L'ipotesi della proposta bayliana di un cri stianesimo
più intelligente e progressivo, o quanto meno più problematico e aduso al dubbio, rivela la realtà
di un pensiero, di una morale del pensiero, che perché filosofia mondana ha già segnato la sua
strada lastricandola di solida riflessione.
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