domenica 30 giugno 2013

Berkeley e le macchine (già, quale la libertà?)




Il valore del motto esse est percipi, del vescovo irlandese George Berkeley - per cui nulla esiste al di fuori della nostra percezione -, distolto da certa interpretazione ontologista e ancora libresca, lo si nota oggi innanzi tutto nell’ambito della cultura delle macchine e dei sistemi, e cioè nell'èra elettronica; se si pensa che tale cultura per essere necessariamente collegata alla cultura biologica e a quella psicologica, è anche «cultura della percezione», interfacing, ovvero alla cultura del costituirsi fondante della percezione; se si pensa alla cosiddetta «unità percettiva», nella quale il tema è il rapporto fra un «materiale» ed un «immateriale» ed in ciò fra «reale» e «virtuale», negli sviluppi della tecnica e scienza dell’informazione. Il tutto, ovviamente, ritenendo non proprio paradossalmente l'uomo come l'ente più somigliante alle macchine e alla loro natura artificiale.