sabato 27 luglio 2013

Il racconto del personaggio Cleòbulo in Diderot, "La passeggiata dello scettico"



Denis Diderot


Il "sistema"

Nella Promemade du sceptique, di Diderot [1], scritto dell’irriverenza reso in forma dialogata e allegorica, il "saggio" Cleobulo, che vive da tempo nella quiete di una sua piccola proprietà - "une petit terre qui lui reste des débris d'une fortune assez considerable", il suo désert; ma egli è il suo parco, la sua campagna; che è volutamente libera, senza un "giardiniere" -, narra ad Aristo, suo ospite, di un suo sogno, di una sua “passeggiata” attraverso tre “viali”: “delle spine”, “dei castagni” e “dei fiori”. 
Se Aristo è invitato a riconoscersi in uno di essi, se cioè il racconto è presentato in chiave di enigma, questo ci riconduce al fatto che i simbolici “viali” - primo generale segno della dialetticità del reale - sono un modo di classificare la natura umana, in relazione ai fatti della religione e della politica. E sono ambienti, significativi, che dicono dei diversi modi di vivere e di pensare. 
Ma perché - anche - mi domando, i viali? La narrazione avviene mentre i due camminano nel parco: alle volte accade che si abbia in noi desiderio di camminare, non essendo, questo, altro che il bisogno di pensare, di avere, per sé stessi, uno "schiarimento"; ottenere per la ragione un guadagno; e al di sopra di tutto un piacere. Camminare, in fondo, fa "bene", se è in noi stessi che si vuole camminare: camminare è pensare. 

sabato 13 luglio 2013

MEZZI E FINI (La tecnica e il denaro) (Primo abbozzo)




Il sentimento, la tecnica e la storia.

In G. Simmel, il discorso sulla tecnica è il discorso del senti­mento, umanistico, o della paura, che si contrappone alla storia. 
L’essenza, cioè, per ciò che quel sentimento è, non s’identifica con la storia e la tecnica.
L’essenza è come qualcosa di pesante e «morale», resistente, che si oppone a qualcosa di leggero e immorale; essa è essenza propria, minacciata e da custodire: così è fatto il sentimento.
Esso, ciò che si trova davanti e che lo nutre, è qualcosa come una rivoluzione tecnica, progressi sensibili, che investono la società e la sensi­bilità dell’io sociale.
Rivoluzione, dal canto suo, è qualcosa di fronte a cui il sentimento, come sentimento dell’uomo, non si riconosce. 

Georg Simmel
Che cos’è, per questo sentimento umano, che si presenta, l’epoca nella quale si scrive? L’epoca nella quale si scrive, meglio: che si ha davanti agli occhi e si vuole descrivere, dato questo sentimento, non è l’epoca che segna un balzo in avanti nella potenzialità tecnica dell’uomo (quella stessa che dà la possibilità all’uomo di farsi forte del lusso di sentimenti di ritrosia), laddove l’una e l’altro appaiono vicini; ma l’epoca del «dominio della tecnica» sull’uomo.

venerdì 5 luglio 2013

Uomini e macchine: la teoria dei servomeccanismi





Mi piace, fra le immagini luhaniane, quella dei servomeccanismi, non so se perché meno enfatizzata rispetto ad altre; ma certo perché vicina alla vita concreta: nessuna dichiarazione di principio, nessuna astratta alienazione; dire quello che accade per dire quello che è. 
Noi, in fondo, che cosa siamo chiamati a fare fondamentalmente oggi se non a controllare che tutto funzioni e dunque a curare gli strumenti e il loro funzionamento? Il che è vero, perché il mondo va così, perché macchine e dispositivi sono molti e la mente nel loro impiego tende ad affinarsi, in una cura ineludibile. Di qui la teoria dei servomeccanismi, entrare nella filosofia vivente delle macchine. 
Ovvero - e credo di riprendere in questo la teoria marxiana dell'operaio organo cosciente dell'automa, ovvero dell'accessorietà del "lavoro vivo" rispetto a quello "oggettivato" - io vedo uomini 'liberi' che nelle loro azioni sono realiter servomeccanismi; vedo persone colte che sono indotte a comportarsi come servomeccanismi; democrazie partecipative costruite nella migliore delle possibilità su elettori liberi di essere... servomeccanismi, ecc. Uomini che umanizzandoli nell'azione e cioè nell'uso si riflettono nei meccanismi che hanno umanizzato e che in questo per sempre più tempo, sempre di più, divengono parte preziosa di ciò che adoperano, laddove la praesumptio inconfessata è che la macchina non possa controllare sé stessa. Ovvero, per un principio di pervasività: il controllo dei meccanismi, ciò che contraddistingue un'epoca di macchine, può essere solo meccanismo di controllo (un mondo peraltro in cui non può sorprendere se la libertà stia nelle funzioni che si condividono col mondo animale). 
Io uso dunque controllo; e anche: io controllo dunque uso, io che controllo alla fine sono controllato, monitorato: intorno a questi motti viene a ruotare un po' tutto, segnatamente ogni pretesa. 

L'elettronica libera la scrittura, dice la dottrina; mai la scrittura era stata forse così "libera". Ma tanto più è emancipata la scrittura, tanto più è liberato nella rete il voto politico o amministrativo o un qualsiasi bisogno o che altro, nella sua possibilità tecnica, tanto più non si può non essere connessi e si usano dispositivi in tal senso, tanto più emerge una forma di alienazione: la realtà del controllo la si ha proprio nell'uso della libertà; ma senza mai dimenticare che la libertà ne è l'oggetto. E qui non v'è filosofia del control panel che tenga: che cosa significa alla fine lasciar fare a dispositivi di controllo ma dovere attivarsi affinché ciò avvenga? Se la teoria è vera, allora non so se ne sia più sconfessata che tradotta la dottrina dell'alienazione. Difficile ritenere che il servomeccanismo sia semplicemente 'servo'.