Il sentimento, la tecnica e la storia.
In
G. Simmel, il discorso sulla tecnica è il discorso del sentimento, umanistico,
o della paura, che si contrappone alla storia.
L’essenza, cioè, per ciò che quel
sentimento è, non s’identifica con la storia
e la tecnica.
L’essenza è come qualcosa di pesante e «morale»,
resistente, che si oppone a qualcosa di leggero e immorale; essa è essenza
propria, minacciata e da custodire: così è fatto il sentimento.
Esso,
ciò che si trova davanti e che lo nutre, è qualcosa come una rivoluzione
tecnica, progressi sensibili, che investono la società e la sensibilità dell’io sociale.
Rivoluzione,
dal canto suo, è qualcosa di fronte a cui il sentimento, come sentimento
dell’uomo, non si riconosce.
Georg Simmel |
Che
cos’è, per questo sentimento umano, che si presenta, l’epoca nella quale si
scrive? L’epoca nella quale si scrive, meglio: che si ha davanti agli occhi e
si vuole descrivere, dato questo sentimento, non è l’epoca che segna un balzo
in avanti nella potenzialità tecnica dell’uomo (quella stessa che dà la possibilità
all’uomo di farsi forte del lusso di sentimenti di ritrosia), laddove l’una e
l’altro appaiono vicini; ma l’epoca del «dominio della tecnica» sull’uomo.
Detto
in altri termini, l’affermazione: nell’epoca del dominio della tecnica «...
l’uomo è allontanato, per così dire, da sé stesso», che si legge in Simmel, non
è tale, ma è altra, ed assume cioè il carattere della definizione, e quindi:
per «epoca del dominio della tecnica» s’intende quella nella quale l’uomo è
allontanato, per così dire, da sé stesso. L’una e l’altro appaiono quasi inconciliabili.
I fini vengono contrapposti ai mezzi come l’interiorità si contrappone alla esteriorità.
Esteriorità e interiorità
Che
cosa è la storia, e che cosa la tecnica, meglio ancor prima: che cosa è il
progresso o l’evoluzione della tecnica, che sono accaduti, che accadono, se un
sentimento, umanistico, vi si contrappone? Sono qualcosa di «esteriore», rispetto
ad una «interiorità».
La
tecnica, assunta quale oggetto del pensiero, è valsa, ha ottenuto quale
risultato, in certo pensiero che sotto l’agire del sentimento ha voluto
ricondursi ad una essenza umana non tecnica, l'esteriorizzarsi della storia.
Non deve sorprendere pertanto se in un’epoca caratterizzata dalla tecnica la
storia sia ritenuta esteriore.
Questo
vale ad accostare, in generale, tecnica e storia.
Le
quali sono questo corrispondere alla
esteriorità.
Essendo,
ciò che è esteriore, come qualcosa che segue, rispetto ad un sentimento, un che
di aggiunto rispetto ad una essenza umana,
che lo precede.
Ma
esteriorità è necessariamente questo?
Che
cosa è, anche, esteriorità? Scrivere sull’altro, ad esempio, è scrivere sulla
esteriorità, se si può ammettere che l’alterità non la si trova perfettamente
in noi; scrivere sulla relatività come su ciò che accade, è scrivere sulla
esteriorità. Scrivere una formula con espressione matematica è scrivere sulla
esteriorità. Scrivere è scrivere sulla esteriorità, scrivere esteriorità, ecc.
Senza
l’esteriorità non vi saranno mai né approcci, né conoscenza, né vita. La
storia nei suoi presupposti, il «fatto» nel suo riferirsi all’umano
dell’uomo, non può pensarsi senza una esteriorità.
L’esteriorità
della tecnica in fondo però non si può negare sia divenuta tale; si può supporre in altre parole che caratteristica
della tecnica possa essere la seguente: che qualcosa si è essersi, col passare
del tempo storico e con il suo perfezionarsi, con il suo calarsi vieppiù in
epoche caratterizzandole, esteriorizzata.
Questa
considerazione viene suffragata dal fatto che necessariamente la filosofia,
per giungere alla essenza della tecnica, debba andare a cercare in un che di
umano. Come se si trattasse di cercare un’origine unitaria e che ha una
corrispondenza in virtù che hanno riscontro nella interiorità. Ma:
esteriorizzazione non significa necessariamente provenire, derivare, da un di
dentro, da una interiorità. Significa piuttosto esser divenuto, di una
esteriorità, nella esteriorità.
L'importante,
nel trovarsi di fronte ad un modo di pensare come quello di Simmel, è che
tecnica e storia, di fronte al sentimento, si trovano ad avere, in generale,
una qualche corrispondenza. Da una parte questo corrispondere in qualche modo
nel profondo, dell’una e dell’altra, dal punto di vista del progresso del
pensiero, viene prima del giudizio sulla esteriorità; dall’altra il giudizio
sulla esteriorità è importante perché rimanda a quella corrispondenza.
L'esteriorità
della storia è tale per cui nella evoluzione della tecnica, secondo quel sentimento,
l'importante è in ciò che noi potevamo fare, umanamente, prima, e che possiamo
fare, egualmente (prima ancora che meglio, oppure essendo indotti a pensare
altro), dopo, ogni fase dell'evoluzione della tecnica. Ovvero: «[...] al posto
delle lampade a olio abbiamo ora l’acetilene e la luce elettrica; ma l’euforia
per i progressi dell’illuminazione dimentica, a volte, che ciò che veramente
importa non è l’illuminazione, ma ciò che essa ci permette di vedere meglio», e
ancora: «nell'autentica ebbrezza suscitata dai trionfi delle tecniche
telegrafiche e telefoniche, si trascura
spesso il fatto che ciò che importa è il valore di ciò che si comunica, e che
rispetto a questo la velocità o la lentezza del mezzo di trasmissione è un
problema secondario [...]»[1].
L'invito
a riflettere, di fronte a quel «ciò che importa è il valore di ciò che si
comunica» è generale, ma esso in Simmel sarà tale in funzione della possibilità
per l'uomo che stia come un uomo interiore, rispetto al mondo della tecnica,
sui cui rapporti con l’uomo si tratta invece d’indagare.
Quell’affermazione
si può leggere in almeno due modi ben diversi l’uno dall’altro: il primo
(Simmel) per cui il valore appartiene all’uomo rappresentato come colui che per definitionem è di altra natura,
rispetto alla tecnica; il secondo per cui il valore appartiene al senso
profondamente umano, e trasformativo-migliorativo, di una scoperta e di una realizzazione
dell’uomo.
Laddove,
a ben considerare la cosa, l’invito a riflettere nel primo senso si risolve in
un mero appello ai sentimenti; nel secondo senso restando invece l’invito a
riflettere in piedi, e la curiositas
non ossidata, per così dire, rispetto ad una verità, che si raggiunge cammin
facendo, e che costituisce una tappa indispensabile per poter approdare ad
altre successive verità.
Il
dire «il valore di ciò che si comunica[...]» è come dire: lo spirito è tale in
quanto si scinda dagli strumenti. Resta comunque quell’invito a riflettere; ma
in quali termini si pone tale invito? Esso ha per oggetto obiettivamente il
«valore umano» rispetto alla tecnica.
Il
modo come si pone in Simmel questo «invito a riflettere» in altre parole fa sì
che la possibilità, come categoria, sia la semplice nuda interorità, che si
lega istintivamente ad un suo modello, e si ritrae di fronte a ciò che si
possa dire il progresso, oppure la storia.
L'umanità
dell’uomo è in questo modo e in questi termini che appare solitamente, anche
nel nostro tempo, discosta dalla tecnica.
Ma
una qualsiasi impostazione del discorso, posta sul terreno del valore umano,
può essere condotta alle sue conseguenze estreme, e si può essere costretti ad
esempio a rendere conto di alcune domande filosofiche del tipo: l'essere, può
essere pensato senza alcuna tecnica; ovvero: l'uomo, anche il più libero, può
essere pensato senza un qualche senso storico?
Negazione
del profilo formativo della comunicazione e del senso comune di due secoli di
evoluzione della tecnica (riduzione dello spazio ad un che di manipolabile).-
«La velocità o la lentezza del mezzo di trasmissione è un problema secondario».
Analogo, rispetto a questa affermazione, può essere questo ragionamento:
debbo recarmi da Roma a Parigi per poter ritirare entro cinque ore un premio.
Mi servo, per raggiungere il mio scopo, di una potente autovettura, mi servo di
una potente autovettura oggi che si producono potenti autovetture. Per mezzo
di tale autovettura conseguirò il mio scopo, ma quando avrò raggiunto il mio
obiettivo avrò dimenticato il valore di quell'autovettura, e del fatto che
oggi si producano potenti autovetture.
Ma,
se questi questi strumenti sono dimenticati è come essi fossero lì, sempre,
già dimenticati.
Cosa
significa sentimento, umanistico... Ovvero: perché, ci si potrà chiedere, ciò
accade? Il sentimento umanistico consiste in questo essere usi a dimenticare i
mezzi, che è come un ritenere di poterne fare a meno. Questo è umano, si può
dire; ma parimenti umano ad esempio è l'inveire, l'accusare le persone più
familiari... Questo, nel rapporto con la tecnica, è il sentimento, e cioè non
ritenere che nei mezzi vi sia la ragione, ovvero ritenere che nella presenza vi
sia solo l'immediata presenza, di per sé stessa evidente.
Il
mezzo, nel nostro esempio la potente autovettura, viene dimenticato una volta
raggiunto lo scopo; eppure il mezzo esiste, ed esiste nella sua prossimità. Il
valore umano, in Simmel, consiste in un riscatto dei fini rispetto ai mezzi:
I fini sono ritenuti essenziali e più nobili.
Ma,
a voler osservare più attentamente la cosa, perché «strumento», strumentale, è
ciò che è destinato ad essere dimenticato? Perché, in altre parole, si
privilegia il fine umano? Intendendo tacitamente per fine umano quello che è estraneo
agli strumenti? Perché questo egoismo umano? per il quale ad esempio i tecnici
come categoria sociale, sono dimenticati, non valorizzati intellettivamente?
Perché non s’insiste ad esempio sul fatto: che possano darsi fini umani nella
progettazione di uno strumento? Domanda che poi è l’altra faccia della
medaglia, rispetto all’affermazione secondo la quale I mezzi prendono il posto
dei fini? Forse a causa della praticità di questi fini? Dunque bisognerebbe ammettere
che in relazione agli strumenti esistono almeno due tipi di fini...
La
risposta potrebbe essere forse la seguente: che l’uomo è egoista, nel suo
spiritualismo. Egoista nel suo spiritualismo significherebbe che egli pensa a
salvarsi, mira essenzialmente alla salvazione.
Nel
senso in cui la tecnica ha ottenuto quale risultato, nel pensiero, l'esteriorizzarsi
della storia, si può asserire che il sentimento umanistico si pone di fronte
alla tecnica come pensiero della salvazione: cos'è infatti il sentimento
umanistico, che si contrapponga alla tecnica, per l'incidenza che essa ha nella
storia, se non il pensiero della salvazione?
La
salvazione è un modo di sentire le cose, i fatti, ecc., che alberga in modi
del pensiero che siano anche distanti fra loro. Bisognerebbe chiedersi quali
possano esserne le ragioni, dentro la spiegazione che tutto ciò è
profondamente umano. Si potrebbe rispondere che ciò dipende dal fatto che
l’uomo è mortale.
Questo
pensiero della salvazione, ad esempio, lo si ha in Heidegger, per quella che
si può definire come la sua ambivalenza nei confronti del mondo della tecnica.
Così come lo si ha altrove, in generale nel sociologico. Ed esso così
dimostra di essere prossimo all'essenza dell'uomo, ecc. Esso lo è, però,
bisogna subito aggiungere, in quanto con esso si contrapponga il sentimento
alla tecnica.
La
salvazione inoltre così è la prossimità all'essenza umana, all'umanità
dell'uomo, che però si pone di fronte alla verità, storica, dell'uomo che
cambia, per cui ad esempio l'uomo dell'antichità era diverso dall'uomo medievale,
e l'uomo medievale diverso dall'uomo moderno, ecc.
La
fragilità, dal punto di vista filosofico, del pensiero della salvazione, è nel
fatto, stesso, che essa punti tutto sull'essenza dell'uomo.
Fragilità,
del pensiero della salvazione, ed umanità dell’uomo, le si hanno, condensate
nelle seguenti situazioni: io, che credo nella nobiltà dei fini, è come se
invece di star seduto su di una sedia stessi seduto nell'aria. Io sto bene
seduto, perché posso fantasticare, e ho dimenticato la sedia. Il soggetto si
ricostituisce; una donna ogniqualvolta s'innamora, ricostituisce sul volto e
nella sua condotta, nel suo vestire, la verginità. Il riscontro, nella corporeità,
esiste; ci si domanda però dove sia l'essenza.
Detta
la stessa cosa con altre parole: si ha di più, in questo modo, condotti così
dal sentimento: che i fini sembrano voler poter essere ripristinati secondo un
principio di autonomia, o nobiltà umana, rispetto ai mezzi; riproponendosi su
questo terreno il problema delle causae
secundae.
I
fini, e cioè i veri fini che sono l’uomo, pensati separatamente rispetto ai
mezzi, si addicono allo spiritualismo e all’egoismo umani; essi in ciò è come
fossero causae primae.
Ma
la storia dimostra che il progresso, per il pensiero, consiste nel passare dalla
causae primae alle secundae.
L'esteriorità
della storia è tale per cui nella evoluzione della tecnica, secondo quel sentimento,
l'importante è in ciò che noi potevamo fare, umanamente, prima, e che possiamo
fare, egualmente (prima ancora che meglio, oppure essendo indotti a pensare
altro), dopo, ogni fase dell'evoluzione della tecnica. Ovvero: «nell'autentica
ebbrezza suscitata dai trionfi delle tecniche telegrafiche e telefoniche, si trascura spesso il fatto che
ciò che importa è il valore di ciò che si comunica, e che rispetto a questo la
velocità o la lentezza del mezzo di trasmissione è un problema secondario
[...]»([2]).
Il
dire: «ciò che importa è il valore di ciò che si comunica», è un invito a
riflettere. E’ un’affermazione, questa, la quale si può leggere in almeno due
modi ben diversi l’uno dall’altro: il primo per cui il valore appartiene
all’uomo rappresentato come colui che per
definitionem è di altra natura, rispetto alla tecnica; il secondo per cui
il valore appartiene al senso profondamente umano, e
trasformativo-migliorativo, di una scoperta e di una realizzazione dell’uomo.
Laddove,
a ben considerare la cosa, l’invito a riflettere nel primo senso si risolve in
un mero appello ai sentimenti; nel secondo senso restando invece l’invito a
riflettere in piedi, e la curiositas
non ossidata, per così dire, rispetto ad una verità, che si raggiunge cammin
facendo, e che costituisce una tappa indispensabile per poter approdare ad
altre successive verità.
Si
può notare, nel rapporto fra le due proposizioni: che «[...] si trascura spesso
il fatto che ciò che importa è il valore di ciò che si comunica», e che
«rispetto a questo la velocità o la lentezza del mezzo di trasmissione è un
problema secondario [...]», come all'invito a riflettere ed approfondire
insito nella prima si contrapponga in modo decisivo il senso di chiusura della
seconda. Meglio: si può sottolineare come l'invito a riflettere sia generale,
ma esso in Simmel sarà tale in funzione della possibilità per l'uomo che stia come
un uomo interiore ed astratto, rispetto al mondo della tecnica, sui cui
rapporti con l’uomo si tratta d’indagare.
Il
dire «il valore di ciò che si comunica [...]» è come dire: lo spirito è tale
in quanto si scinda dagli strumenti. Resta comunque quell’invito a riflettere;
ma in quali termini si pone tale invito? Esso ha per oggetto obiettivamente il
«valore umano» rispetto alla tecnica.
Il
modo come si pone in Simmel questo «invito a riflettere» in altre parole fa sì
che la possibilità, come categoria, sia la semplice nuda interorità, che si
lega istintivamente ad un suo modello, e si ritrae di fronte a ciò che si
possa dire il progresso, oppure la storia.
L'umanità
dell’uomo è in questo modo e in questi termini che appare solitamente, anche
nel nostro tempo, discosta dalla tecnica.
Ma
una qualsiasi impostazione del discorso, posta sul terreno del valore umano,
può essere condotta alle sue conseguenze estreme, e si può essere costretti ad
esempio a rendere conto di alcune domande filosofiche del tipo: l'essere, può
essere pensato senza alcuna tecnica; ovvero: l'uomo, anche il più libero, può
essere pensato senza un qualche senso storico?
«La
velocità o la lentezza del mezzo di trasmissione è un problema secondario».
Analogo, rispetto a questa affermazione, può essere questo ragionamento: debbo
recarmi da Roma a Parigi per poter ritirare entro cinque ore un premio. Mi
servo, per raggiungere il mio scopo, di una potente autovettura, mi servo di
una potente autovettura oggi che si producono potenti autovetture. Per mezzo
di tale autovettura conseguirò il mio scopo, ma quando avrò raggiunto il mio obiettivo
avrò dimenticato il valore di quell'autovettura, e del fatto che oggi si
producano potenti autovetture.
Ma,
se questi questi strumenti sono dimenticati è come essi fossero lì, sempre,
già dimenticati.
Che
cosa significa sentimento, umanistico... Ovvero: perché, ci si potrà chiedere,
ciò accade? Il sentimento umanistico consiste in questo essere usi a dimenticare
i mezzi, che è come un ritenere di poterne fare a meno. Questo è umano, si può
dire; ma parimenti umano ad esempio è l'inveire, l'accusare le persone più
familiari... Questo, nel rapporto con la tecnica, è il sentimento, e cioè non
ritenere che nei mezzi vi sia la ragione, ovvero ritenere che nella presenza vi
sia solo l'immediata presenza, di per sé stessa evidente.
Il
mezzo, nel nostro esempio la potente autovettura, viene dimenticato una volta
raggiunto lo scopo; eppure il mezzo esiste, ed esiste nella sua prossimità. Il
valore umano, in Simmel, consiste in un riscatto dei fini rispetto ai mezzi: I
fini sono ritenuti essenziali e più nobili.
Ma,
a voler osservare più attentamente la cosa, perché «strumento», strumentale, è
ciò che è destinato ad essere dimenticato? Perché, in altre parole, si
privilegia il fine umano? Intendendo tacitamente per fine umano quello che è estraneo
agli strumenti? Perché questo egoismo umano? per il quale ad esempio i tecnici
come categoria sociale, sono dimenticati, non valorizzati intellettivamente?
Perché non s’insiste ad esempio sul fatto: che possano darsi fini umani nella
progettazione di uno strumento? Domanda che poi è l’altra faccia della
medaglia, rispetto all’affermazione secondo la quale I mezzi prendono il posto
dei fini? Forse a causa della praticità di questi fini? Dunque bisognerebbe ammettere
che in relazione agli strumenti esistono almeno due tipi di fini...
La
risposta potrebbe essere forse la seguente: che l’uomo è egoista, nel suo
spiritualismo. Egoista nel suo spiritualismo significherebbe che egli pensa a
salvarsi, mira essenzialmente alla salvazione.
Nel
senso in cui la tecnica ha ottenuto quale risultato, nel pensiero, l'esteriorizzarsi
della storia, si può asserire che il sentimento umanistico si pone di fronte
alla tecnica come pensiero della salvazione: cos'è infatti il sentimento
umanistico, che si contrapponga alla tecnica, per l'incidenza che essa ha nella
storia, se non il pensiero della salvazione?
La
salvazione è un modo di sentire le cose, i fatti, ecc., che alberga in modi
del pensiero che siano anche distanti fra loro. Bisognerebbe chiedersi quali
possano esserne le ragioni, dentro la spiegazione che tutto ciò è
profondamente umano. Si potrebbe rispondere che ciò dipende dal fatto che
l’uomo è mortale.
Questo
pensiero della salvazione, ad esempio, lo si ha in Heidegger, per quella che
si può definire come la sua ambivalenza nei confronti del mondo della tecnica.
Così come lo si ha altrove, in generale nel sociologico. Ed esso così dimostra
di essere prossimo all'essenza dell'uomo, ecc. Esso lo è, però, bisogna
subito aggiungere, in quanto con esso si contrapponga il sentimento alla tecnica.
La
salvazione inoltre così è la prossimità all'essenza umana, all'umanità
dell'uomo, che però si pone di fronte alla verità, storica, dell'uomo che
cambia, per cui ad esempio l'uomo dell'antichità era diverso dall'uomo medievale,
e l'uomo medievale diverso dall'uomo moderno, ecc.
La
fragilità, dal punto di vista filosofico, del pensiero della salvazione, è nel
fatto, stesso, che essa punti tutto sull'essenza dell'uomo.
Fragilità,
del pensiero della salvazione, ed umanità dell’uomo, le si hanno, condensate
nelle seguenti situazioni: io, che credo nella nobiltà dei fini, è come se
invece di star seduto su di una sedia stessi seduto nell'aria. Io sto bene
seduto, perché posso fantasticare, e ho dimenticato la sedia. Il soggetto si
ricostituisce; una donna ogniqualvolta s'innamora, ricostituisce sul volto e
nella sua condotta, nel suo vestire, la verginità. Il riscontro, nella corporeità,
esiste; ci si domanda però dove sia l'essenza.
Detta
la stessa cosa con altre parole: si ha di più, in questo modo, condotti così
dal sentimento: che i fini sembrano voler poter essere ripristinati secondo un
principio di autonomia, o nobiltà umana, rispetto ai mezzi; riproponendosi su
questo terreno il problema delle causae
secundae.
I
fini, e cioè i veri fini che sono l’uomo, pensati separatamente rispetto ai
mezzi, si addicono allo spiritualismo e all’egoismo umani; essi in ciò è come
fossero causae primae.
Ma
la storia dimostra che il progresso, per il pensiero, consiste nel passare dalla
causae primae alle secundae.
; e
ancora: «nell'autentica ebbrezza suscitata dai trionfi delle tecniche
telegrafiche e telefoniche, si trascura
spesso il fatto che ciò che importa è il valore di ciò che si comunica, e che
rispetto a questo la velocità o la lentezza del mezzo di trasmissione è un problema
secondario [...]»([3]).
I fini umani, in ciò che scriveva Simmel
come in altri, dipendono dal postulato secondo cui l’uomo è il fine, e dunque
il parlare di fini umani significa che l’uomo, nella sua immediatezza, deve essere il fine; che l’uomo in una certa epoca
deve essere rupristinato come fine.
Questo
approccio in fondo lo si può ritenere in qualche modo come legato ad una sensibilità
cristiana, oppure kantiana, ecc.; esso, infatti, nel suo esprimere un dover
essere, sembra essere contenuto in tavole di ordine morale e giuridico.
Ricorda, ad esempio, il tenore del celebre scrittarello di Kant sulla «pace
perpetua fra I popoli».
Ma
in che senso, oltre che in questo, si può dire che un tale approccio lo si può
ritenere in qualche modo cristiano, o/e
kantiano? In un senso, può essere la risposta, significativo per ciò che la
storia è per l’intimità di ogni individuo: per cui formulare in termini cristiani
o/e kantiani equivale a nutrire ancora, nei riguardi della tecnica, un
sentimento di ritrosia, al non averla ancora accettata.
Non
avere ancora accettato, dal punto di vista del sentimento, ciò che la tecnica è
non, sic et simpliciter, per ciò che
essa è oggi. Non accettare l’idea: di una tecnica vicina all’umanità dell’uomo.
Ma allo stesso tempo, necessariamente, non averla accettata in ciò: che essa si
presenta, fortemente, nell’età moderna, come affermativa, oggettuale.
Ma
questo fatto definitorio, in uno scrittore come Simmel, non consiste in un
contrapporre qualcosa di storiograficamente antico ad un che di tipicamente
moderno. Quel «sé stesso», nel suo corrispondere ad un sentire umanistico, non
è un io poetico, letterario, piegato sulle sue carte, chiuso nel suo studio,
ecc.: non si risolve in un semplice io astratto. E’ un io, invece, socialmente
coinvolto: è questo io a dire, ad esempio, che il mondo dei fini è stato
catturato dalla cultura dei mezzi, la quale è divenuta fine di per sé stessa.
Non
l’immagine letteraria, ma la personalità sociale, è ciò che emerge in Simmel,
in relazione al sentimento umanistico.
Ma
allo stesso tempo questo io sociale, coinvolto socialmente, è immagine in
qualche modo «letteraria», se io posso sempre chiedermi: ma esso sino a che
punto è vero?
L’io
sociale è tale, in Simmel, per cui il sentimento umanistico, tolti gl’immediati
riferimenti storiografici o letterari, corrisponde alla vita, vuole guardare in
faccia la vita, parla della «tensione della nostra interiorità», la quale è
insofferente nei confronti di macchine e merci, che si mostrano invadenti e
come freni. A sua volta però il senso della vita, rispetto a una generica
definizione del sentimento umanistico, è pur sempre sentimento umanistico, del
quale si può asserire che abbia molte sfaccettature. Il sentimento umanistico,
se contiene il senso della vita, è pur sempre l’invocazione dello spirito
contro la materia, e cioè dell’interiorità contro l’esteriorità; esso dirà «esteriore»,
cioè, quanto ritiene, o sente, come sfavorevole.
Ma
il sentimento della vita, nel suo umanismo, ha per caratteristica di giudicare
sé stesso, per potersi spiegare; l’umanismo consiste nel giudicare l’uomo per
poter ricondurre tutto all’uomo. La «tensione della nostra interiorità» lo è,
insofferente, come, dopo che lo è stata nei confronti di sé stessa.
Così
il sentimento della vita, nella sua insofferenza, spiega l’avvento del dominio
della tecnica come questo fosse l’avvento dei frutti della colpa. In Simmel è
il sentimento della vita a criticare, in nome dei veri fini umani, non il
sentimento della vita, ma i suoi (cattivi, fuorvianti) frutti.
Tutto
il discorso sulla tecnica, quindi, si mostra comunque riconducibile all’uomo.
Il dominio della tecnica, secondo codesto modo di sentire, è frutto di quel sentimento,
e non di una certa quale (necessaria, storica, insita per così dire nel Concetto)
evoluzione della tecnica, parimenti l’imporsi della vita intellettiva quale si
ha secondo Simmel nel dominio dell’economia monetaria e del denaro, se non
potrà sostenersi dipendere dalle proprietà della ragione umana, dipenderà dal
bisogno, che, deve supporsi, allontana dallo spirito umano.
Il
sentimento umanistico quale sentimento della vita è proprio dell’io moderno e
socialmente coinvolto, il quale, per attribuire ogni cosa all’uomo, esprime
quell’io ed ammette la sua oscurità. E’ a causa del fatto: che il sentimento
della vita sia sfociato nel dominio della tecnica, che quel sentimento è divenuto
un «impulso irresoluto sotto la soglia della coscienza». Non è il dominio della
tecnica la causa di tale «offuscamento e collocazione del sentimento della vita
sotto la soglia della coscienza», cupo senso di tensione e di nostalgia senza
meta; per cui il senso della nostra esistenza è così lontano e remoto che non
lo possiamo neanche localizzare esattamente[4].
Dunque
il sentimento della vita, secondo questo modo di pensare, è impulso di tutto, è
tutto. E’ ciò con cui tutto diventa spiegabile. Ad un patto: cioè che si parli
dell’uomo come causa e come effetto.
Ma
le proposizioni e il modo di argomentare che ne discendono andranno sempre valutate
alla luce del progresso della conoscenza.
Bisognerebbe
sempre domandarsi, di fronte al pensiero che è informato al sentimento
umanistico, in questa o quella forma, quale sia l’utile, dal punto di vista del
progresso nella conoscenza filosofica, offerto da simile ricondurre sempre
tutto all’uomo.
La
prima conclusione che si può trarre, di fronte a codesto modo di argomentare,
che parla di veri fini e di cause riponendole nell’uomo, è che l’oggetto, dal
punto di vista della conoscenza, non è, come si potrebbe essere indotti a
credere in un primo tempo, la tecnica, ma il sentimento della vita. Il vero
oggetto è l’interiorità divenuta oscura, indecifrabile, è, più generalmente
come modello, l’io in quanto socialmente coinvolto. Non la tecnica.
Resta
infatti, forse non nonostante, ma proprio in una stretta necessaria relazione
con l’interesse e le spiegazioni fornite a proposito dell’interiorità, il senso
d’insofferenza nei confronti di macchine e merci. Anzi: di fronte alla
questione della tecnica il sentimento della vita che si autoaccusa e fa di sé
l’oggetto della riflessione, è reazione, umanistica, alla tecnica.
In
generale il sentimento umanistico, dal punto di vista della conoscenza, è ciò
che nella tecnica non si riconosce, e che si nutre di una scelta. Esso è in ciò
il punto di vista dell’immediatezza.
Il dominio dei mezzi sui fini
Per
Simmel il dominio della tecnica è il dominio dei mezzi sui fini. Ma questa
semplicità, nel giudizio, fa riflettere. Tale semplicità significa, in primo
luogo, ciò che essa afferma, e dunque che nella tecnica non si riconosce
sostanza, che si confida nella superiorità dell’umano, che si vedono nella
tecnica meri strumenti, mezzi volti a un fine. Laddove in ciò che è «fine»
viene riposta l’umanità dell’uomo, in ciò che è «mezzo», invece, il senso
della tecnica, potendosi esprimere in questi termini e strumenti del senso
comune il discorso sulla tecnica.
In
Simmel il principio secondo il quale tutto è riconducibile al sentimento della
vita e all’uomo nella sua interiorità, fa il paio con una concezione strumentale
della tecnica, la quale in quanto tale, non si ha solamente in Simmel. Al cui
modo di scrivere si può riconoscere comunque la caratteristica di mostrare i
possibili legami fra concezione strumentale della tecnica e umanismo moderno
reattivo, quel sentimento che si contiene in un io socialmente coinvolto, versante
nella oscurità, ed in una personalità umana moderna insofferente.
E’
vero, e questo può ritenersi un contributo offerto da Simmel, che l’umanismo
non è quello del buon vecchio (ritenuto intramontabile) umanismo, modello
filologico di esso, umanismo del recupero in ogni momento della essenza umana,
alienata nella storia, contrastata dalla storia, ecc.
La
questione della tecnica, in questo modo dunque, verte sul rapporto mezzi-fini.
Nel senso che la cosiddetta «umanità dell’uomo» si sostiene solo grazie al
rapporto mezzo-fine, nel quale la questione del rapporto fra l’uomo e la
tecnica può dirsi apparentemente risolvibile, risolta.
Nello
stesso tempo bisogna ammettere che non necessariamente chi nella tecnica non
veda un che di strumentale sarà immune, forse, dal punto di vista del
sentimento. E parimenti: anche chi abbia con la tecnica un rapporto positivo di
pensiero, potrà cogliere l’essenza di essa in un che d’interiore. Il filosofo
Zschimmer, in un suo pensiero, prendendo posizione rispetto a coloro che accostino
tecnica ed umanità dell’uomo, afferma: «E perciò dobbiamo rettificare la concezione
profondamente radicata di quegli storici della civiltà che pensano che sia
stato solo lo strumento a determinare la trasformazione dell’animale in uomo.
No, non è stato lo strumento, è stata la
volontà spirituale, l’intento dell’invenzione.
Questo
intento ha la sua ultima mèta non nella creazione degli strumenti, ma in qualcosa
di completamente diverso, per cui gli strumenti e le macchine sono solo I mezzi
ausiliari perfezionati, ma a cui essi non hanno fornito, in linea di principio,
alcun contributo nuovo», ecc.) [5].
Il
sentimento umanistico come sentimento della vita, più di quanto non sarebbe se
fosse mero ripiegare e nostalgia per la grandezza dello spirito dei classici,
bisogna ammettere che trova assai congeniale quel rapporto mezzo-fine. Di
fronte al peso della vita, infatti, il fine assume un tono forte e deciso. Il
fine è forte, si potrebbe dire, il mezzo debole. Il fine centrale, il mezzo
periferico, ecc.
Per
Simmel il dominio della tecnica è il dominio dei mezzi sui fini. Anche questo
significa essenzialmente appellarsi ai sentimenti. Infatti ci si potrebbe domandare
se ciò è vero. Se ciò fosse vero, e il discorso fosse condotto alla sua
conseguenza estrema, infatti, noi avremmo che i mezzi non sarebbero mezzi,
secondo la definizione.
Dire
mezzo, inoltre, significa dire fine, ecc.
Che
esistano quelli che noi diciamo mezzi e fini, questo è indubitabile, è certo
di per sé stesso, è evidente, ma ci è evidente dal momento stesso che noi lo
diciamo... Ma sino a qual punto ciò spiega, oppure avvicina all'essenza? E
quanto, invece, ciò accosta al sentimento e basta?
Lo
strumento che sono certe categorie insomma è denotativo a causa del contesto. Affermare:
il fine, la qualità, è umana, non giova molto ai fini del progresso della
conoscenza.
Ma
tale affermazione vale a segnalare l’oggetto: l’oggetto qui non è la tecnica,
ma il sentimento umanistico.
In
tutto questo contrapporre fini superiori a mezzi inferiori è evidente come ciò
che è tirato in ballo sia il sentimento umanistico della vita, stessa, non di
una domestica e quieta interiorità, dell’uomo.
La
questione tocca ed incide su aspetti vitali dell’uomo, dell’esser uomo sulla
terra, dell’essere, ecc.
Ciò
che è in ballo è in certo modo la nostra coscienza
di sempre[6].
La tecnica e il denaro.- Con la medesima
sensibilità con cui egli giudica della tecnica, Simmel conduce il discorso sul
denaro. Al denaro il sentimento contrappone, semplificando, una moralità la
quale si regge sulla presunzione di libertà dal denaro[PP1].
E il
denaro è preso così in una maniera non storica, nella quale viene ad essere
colto solamente un aspetto umano della cosa.
Il
possibile accostamento, fra la concezione della tecnica e quella del denaro,
emerge nella seguente affermazione: il denaro «è la tecnica più generale della
vita esterna»([7]).
Laddove ciò che incuriosice e fa riflettere è l'accostamento possibile e l'uso
della parola «tecnica». Essa da una parte è usata, dall'altra è usata in un modo
più astratto. Tecnica così si avvicina al pensiero dell'essenza, ad un pensiero
più astratto. E cioè: tecnica più generale, tecnica in generale come medialità,
mezzi cui si fa ricorso per i fini, costituisce allontanamento da un concetto
applicato o settoriale di tecnica come ad esempio «tecnica materiale», tecnica
obiettiva, ecc., e dunque qualcosa di più vicino alla essenza della tecnica. A
questa essenza, per quanto è desumibile da tale asserto, appartiene non solo
l'idea di un ricorso ai mezzi, ma anche l'esteriorità (della vita).
L'«esteriorità», ancora l'esteriorità kantiana (ciò che non è che
l'ulteriormente interiore rispetto alla realtà), è infatti qualcosa che si
confà ai mezzi; l'interiorità ai fini.
Tecnica
e denaro sono accostati, uniti, dal fatto: che la morale della vita, la sua
spiritualità, si contrappone alla tecnica e al denaro, secondo l'istinto.
Il
discorso inoltre, per essere condotto come una reazione del sentimento, si
svolge in un modo sociologico. (Sembra quasi, al di là di Simmel, che il
sociologico sia fatto apposta, e sia terreno congeniale, per la reazione sentimentale,
umanitaria, alla tecnica e al denaro; che nel sociale come categoria del
pensiero confluiscano, spontaneamente, il sentimento e la morale del dover
essere rispetto al progresso, alla tecnica e al denaro.)
Ma,
questo particolare, del denaro, al di là dello sfogo sociologico, che il
sentimento inguaribile di una purezza dell'umanità dell'uomo può condividere,
è interessante. Bisogna saper, poter scrutare nello sfogo e nel sentimento,
guardando a quella direzione per la quale il discorso può essere ricondotto ad
una sua unità; in un modo tale che il discorso sulla tecnica sia ricondotto ad
una unità che i termini stessi della questione possono sottrarle.
Perché
il denaro? E perché il profondo legame filosofico, che si può cogliere, tra il
denaro e la tecnica? Perché il «dominio della tecnica», in Simmel, è il
predominio dei mezzi sui fini. Giudizio condivisibile: la medialità, infatti,
caratterizza ogni epoca con forte accentuazione del predominio tecnico anche
in altri pensatori, e di essa si parla molto oggi, in cui gli strumenti per la
comunicazione a distanza stanno avendo un altro loro exploit.
Da
una parte si ha dunque che la tecnica sono i mezzi; dall'altra, contemporaneamente,
che il denaro è il «mezzo dei mezzi». Come giudica Simmel il fatto della
importanza della medialità? Se egli dice: «La periferia della vita si è impadronita
del suo centro»; e cioè: nell'èra della tecnica i mezzi prendono il posto dei
fini nell'interiorità, cosa coglie, egli, della medialità, se non l'aspetto che
nell'animo istintivo è più prossimo alla semplice parola? Medialità viene da
mezzo, ecc.; mezzo è ciò che è meno nobile del fine, ecc.
Di
fatto, ciò che è mediale sembra poterlo essere per costituzione, per istituzione,
più di quanto non si creda, se esso riguarda ciò che è commercio, dal punto di
vista umano sociale.
[1] SIMMEL, Il dominio della tecnica, trad. it. in AA.VV., Tecnica e cultura, cit., p. 38.
[2] SIMMEL, Il dominio della tecnica, trad. it. in AA.VV., Tecnica e cultura, cit., p. 38.
[3] SIMMEL, Il dominio della tecnica, trad. it. in AA.VV., Tecnica e cultura (a cura di
T. Maldonado), Milano 1987,
p. 38.
[4] Ivi, p. 41.
[5] ZSCHIMMER, Filosofia
della tecnica, trad. it. in AA.VV., Tecnica
e cultura, Milano 1987, p. 218.
[6] Un esempio del raffronto con la nostra
coscienza di sempre può essere dato, in un modo generico e storico, se si pensa
ciò: che il discorso del sentimento sulla tecnica, posto nei termini nei quali
lo pone Simmel, e cioè anche, necessariamente, il discorso sull’alienazione
dell’uomo nell’epoca della società di massa (svolto poi dalla Scuola di Francoforte),
è una impostazione tale che ha il potere di ricondurre alla questione,
ottocentesca, del rapporto fra la sfera della moralità e quella dello Stato,
oppure fra la sfera della moralità e quella dello spirito oggettivo, o anche di
trasportarci ad una sensibilità cartesiana (le fontane di Cartesio). Simmel afferma: «La periferia della vita si è
impadronita del suo centro»; e in ciò si possono notare vari aspetti: quella
semplicità, nella impostazione del discorso, consistente nell’appello immediato
ad una interiorità osservata come principio tutto d’un pezzo; lo smarrimento,
rispetto allo «spirito oggettivo», e lo smarrimento, filosofico, di quel
concetto e del significato, metodico, culturale, delle causae secundae.
I
discorsi, le affermazioni di Simmel, hanno il potere di riportarci a questioni
che sembravano morte e sepolte, forse? Se questo ricondurci alla cultura
ottocentesca e a quella cartesiana, prese come questioni della coscienza messe
in gergo filosofico, è possibile, allora no. Non vi sono, evidentemente, di
fronte agli sviluppi che possono darsi alla questione della tecnica, questioni
morte e sepolte, nei termini della coscienza di sempre. Il che conferma quanto
detto sopra: tenere la cose come irriducibili l’una all’altra; che le cose
stiano effettivamente così, potrà considerarsi una prima verità.
[7]SIMMEL, Il dominio della tecnica, cit., p. 42.
[PP1]La questione, che accomuna tecnica e denaro, è
nei segg. termini: il discorso sul denaro radicalizza quello sulla tecnica, nel
senso che il problema è, in realtà: può il basso essere più vicino all’essenza?
Causae secundae, sessualità in freud, lo stanno a testimoniare...
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