sabato 7 settembre 2013

Letteratura e storia




I “Mille”



Giuseppe Cesare Abba, scrittore ottocentesco e meglio risorgimentale, insegnante, infine senatore del Regno, avendovi preso parte quale patriota, ha posto la propria impronta letteraria (in Da Quarto al Volturno) sulla famosa impresa dei Mille, che nella sua prima fase salpò dalla costa ligure e giunse a Marsala nel maggio del 1860.
Lo ha fatto da cronista appassionato, romantico, con una sequenza diaristica di brani alcuni dei quali di radicale intensità, come quello del pastore del feudo di Rampagallo che dopo avere atteso per via il passaggio dei volontari prima della battaglia di Calatafimi, ad essi affidò - non prima di avere esortato il comandante Carini a puntare decisamente su Palermo -, allontanandolo da sé e spingendolo come verso un precettore, il figlio quindicenne, prendendo poi in lacrime la strada di ritorno verso la sua povera abitazione. Un gesto forse sorprendente perché umano, assai umano; e direi singolarmente razionale, morale, prima ancora che storico.
Quella eroica, spregiudicata impresa, che consisté, per chi vi prese parte, anche in un immergersi nel quotidiano e nel sociale del profondo Sud, fu vissuta dai suoi artefici nella luce di Curtatone e Montanara, di Sapri, del fantasma di Pisacane: vi sono stati insomma giovani, nella nostra storia, che per amore della libertà, nell’idoleggiamento di Garibaldi (il “Dittatore”, il “Generale”, il “Washington d’Italia”, insomma essenzialmente un mito) e nell’ammirazione per i Bixio, i Taddei o altri comandanti, furono capaci di non distinguere - forse perché i giovani come si usa dire si credono immortali - fra la vita e la morte.
Ma dissolte per così dire le nebbie letterarie, pur preziose per il contributo testimoniale, e tolte le passioni, resta il fatto, per ciò che dalla narrazione emerge, che a dare primo e decisivo impulso a quell’impresa furono soprattutto patrioti del Nord, provenienti da Lombardia, Piemonte e Liguria (ad esempio i “carabinieri genovesi”): alla partenza da Quarto i siciliani, gruppo di valorosi, si potevano contare in numero non superiore ai venti.

giovedì 5 settembre 2013

Postille a uno scritto su “scrittura (e lettura)”




1.- Scrittura e lettura possono considerarsi come le due operazioni elementari, strettamente connesse fra loro, alle quali un testo si presta, ovvero attorno alle quali, in relazione alle quali, un testo si costituisce.
Questo è vero così per la cultura pre-gutenberghiana, come per quella gutenberghiana, ovvero la cultura della stampa su carta e della carta per stampa, come per quella o quelle epoche che si sono andate innestando nell’epoca gutenberghiana: l’epoca elettrica o telegrafica, l’epoca del medium magnetico, elettrico od elettronico. 

mercoledì 4 settembre 2013

"Omnis machina a Deo" (?): studio preparatorio per uno scritto su “L’anima e la macchina”




SULLA «MODERNITÀ» E LA «MACCHINA»


Chi è?

1.- L’anima, leggo in un testo del settecento,  «non è [...] altro che un termine vago, di cui non possediamo alcuna idea e di cui un buon intelletto deve servirsi per nominare quella parte che pensa in noi»[1]. Dunque è come si discendesse da Dio verso l'uomo in forza dell'anima
Io direi anche questo, inoltre, prendendo spunto da tale brano: che l’anima, se in qualche modo si giunge a sostenere che essa «non esiste», è proprio ciò che l’essere,  razionale e pensante, dovrà costruirsi. Non sic et simpliciter  come ci si costruisce una finzione o come si ha, mentalmente, un’immagine ma, anche, come si «mette su» una casa, per costituirsi in quanto essere razionale e pensante, e per continuare a stare sulla Terra. Stare sulla Terra nei termini di una fondamentale condizione