La "contestualità strutturale"
Quale il rapporto fra scrittura e lettura nella cultura
gutenberghiana?; o pre-gutenberghiana; o anche nelle esperienze di scrittura
elettronica? E dunque: quali elementi della scrittura in quanto
scrittura emergono alla luce delle esperienze legate alla cultura
elettronica, nella quale tre sono le epoche che si ha modo di confrontare?
Secondo questa teoria la lettura è costitutiva della scrittura in
un modo tale per cui nello scrivere si scrive, è inscritto, anche, il
poter-leggere, la leggibilità. Vi sarebbero così nell’atto di
scrittura come due personalità in una; per cui si può dire anche che la
scrittura in quanto tale è iterabile;
laddove lo iter (il "nuovamente") di
"iterabile" (dal sanscrito itara: "altro")
starebbe a significare qualcosa come: prevedere, avendola in sé predisposta, l'alterità,
l'elemento sociale dell'altro da sé [1]. Il sociale dunque, ovvero la esteriorità.
Ma l'alterità è qui qualcosa di singolare, perché essa,
costituendosi, si dissolve. Viene in rilievo il fatto che la leggibilità non è
la lettura ma la sua possibilità, ovvero la possibilità che la
precede. Dal punto di vista concettuale-astratto il leggibile ha in sé anche la
potenzialità di poter non essere letto, non esattamente l’essere in attesa di
esserlo. Il leggibile ha già in sé il destinatario ma quasi con una identità
indebolita o virtuale e come privato del tempo e del luogo.
Che la leggibilità sia parte strutturale della scrittura
significa, secondo la tesi che si viene qui ad illustrare, che la struttura
stessa della scrittura (dell’atto come della perpetuazione in memoria,
dell’atto ancor prima di detta perpetuazione) prevede la morte del "soggetto
empiricamente determinato" [2] e cioè così del destinatario come dell'emittente [3]. Che la scrittura trascende il soggetto empirico; che la
leggibilità fa sì che l'entità di scrittura vada oltre la presenza umana, non
modificandola ma negandola. Che nella scrittura vi sia l'inscrizione segreta
della morte e dell'assenza; ovvero che vi sia una serie di dati, laddove
sembrava vi fossero continuità e sequenza.
Nella scrittura, caratterizzata dalla iterabilità e dalla
leggibilità oltre la presenza, vi è insomma la forma di un distacco, di un
congedo: dall'emittente (e ancor prima dall'autore) e dell'emittente, dal
destinatario (e ancor prima dal lettore) e del destinatario; laddove
"morte", per ciò che possa rivelarsi utile alla teoria della
comunicazione, non sta necessariamente per morte ma anche e più in generale
per assenza; ovvero per non identificabilità, dispersione della
traccia; non necessaria identificabilità dell'autore, dell'emittente; del
lettore, del destinatario; del contesto, del senso autentico. Il che significa
con riferimento alla nostra epoca: morte/dispersione del libro. La cui
materialità forse può essere assimilata a un atto di presenza.
In questo modo la filosofia decostruttiva attribuisce alla
scrittura in generale (dunque anche sicuramente alla scrittura cosiddetta
"lineare" - linear writing) qualcosa che è stato
riconosciuto come proprio della scrittura elettronica (electronic writing),
qualcosa che probabilmente questa scrittura vale quindi a pronunciare: la
connaturata predisposizione alla comunicazione, il formato spiccatamente
comunicativo [4]. Essa fa ciò rintracciando in quella predisposizione un dato
radicato nell'esistenza; essa mostra la convertibilità di un dato
dell'esistenza in un dato della comunicazione.
Ciò significa che le forme successive di scrittura - ma la
constatazione è rivolta molto alla scrittura elettronica, per certo quale
compiersi in essa per quanto si può comprendere della essenza della scrittura -
possono illuminare sulle forme (di scrittura) che le hanno precedute. E
significa anche, con ciò, che ogni modo, forma, condizione di scrittura può
essere ricondotta a una unità inossidabile, alla scrittura in quanto tale.
Ma già queste considerazioni possono essere brevemente integrate:
l'iscrizione della morte (dell'autore) così come il fatto che il destinatario
sia e non sia, tengono in piedi il vecchio dualismo: la scrittura è una
singolare interiorità, ma siffatta interiorità, che fa sì che si scriva
come animus, riceve dal suo stesso accadere un singolare destino.
Ovvero quell'animus, quella stessa interiorità che proclama la debolezza
e mortalità del soggetto (trascendentale, forte, ecc.) come se la cosa non lo
riguardasse, si viene ad iscrivere per ciò stesso in una ripetizione del gesto.
Scrittura e memoria
Quando si parla di scrittura si parla - anche - di tempo e di temporalità.
Scrivere, nel suo carattere radicale di
atto, azione umana, è interpretabile come un differimento della presenza, un temporeggiamento; come un gesto
di rinvio, una deviazione, un differre o dilazionare nel
tempo [5] - o anche un iniziare a giocare con il tempo -; nel quale si
ha produzione di memoria. Questa almeno è l'identificazione che
emerge nelle attuali tendenze di pensiero, per l'esattezza questa - ancora - è
la tesi avanzata dalla filosofia decostruttiva francese.
Ma la memorizzazione di cui si parla avviene in un modo tale per
cui il differre, pur investendo il tempo, pur essendo interpretabile
partendo dal tempo, non appare riducibile entro la temporalità.
Esso riguarda anche lo spazio: nel tracciamento del segno, o del
carattere, o della lettera dell'alfabeto, ovvero nella "battuta",
come nel mero spaziare e nell'andare a capo, vi è un "dare spazio",
nel che si esprime concretamente l'atto, il gesto. (Ma anche qualcosa che
sembra muto - lo spazio -, di fronte a cui ci si arresta, e che pure viene
rilanciato dal problema della comunicazione in rete.)
Scrittura cuneiforme |
Essi lo sono (compresenti) in due modi: sia perché preesistono a
questa o quell'azione di scrittura, sia in un modo tale per cui s'inscrivono
entro il perimetro della scrittura.
Anzi, muovendo da una sensibilità (quale quella
decostruzionistica) orientata a riconoscere il valore fortemente definitorio e
meglio relativizzante già attribuito alla scrittura dalla migliore tradizione
linguistica (e non solo da essa, ma anche dalla filosofia: "La scrittura,
prima di esserne l'oggetto, è la condizione dell'epistème" [7]), la questione del rapporto fra scrittura e memoria può essere
posta nei termini per cui non è la scrittura a presupporre tempo e spazio ma
viceversa sono tempo e spazio a presupporre la scrittura entro la quale essi
verranno ad inscriversi.
Nessun tempo e nessuno spazio in certo senso senza il segno
grafico, o più semplicemente senza il segno; ovvero tempo e spazio
presuppongono la loro stessa scrittura, e dunque la scrittura
in generale, interpretata come gesto essenziale della mano, come
scrittura prima, come forma elementare dell'azione.
Secondo le indicazioni fornite da quella filosofia si scrive
dunque il tempo e si scrive contestualmente lo spazio; essi vengono scritti per
il medesimo principio in base al quale, mutatis mutandis, si scrive
la scienza oppure il linguaggio stesso.
Questo modo di teorizzare la scrittura come produzione di memoria,
può essere considerato un utile approfondimento in un'epoca in cui la tecnica
sembra realizzarsi sul piano della sua stessa essenza. In tal modo infatti si
affianca la scrittura alle tecniche di memorizzazione, portando la memoria nel
cuore stesso della scrittura. Ovvero: si fa in modo che la tecnica di
memorizzazione sia posta su un terreno non propriamente tecnico, che essa sia
calata nell'economia del vivente: essa predispone la teoria del vivente a una
sua assimilazione a teoriche più rigorosamente sensibili alla tecnica.
In altre parole, l'interesse per una teoria filosofica che
assimili la memoria alla scrittura è dato dal fatto che fra questa e le teorie
piuttosto orientate alle tecnologie di memoria vi siano punti d'incontro, o che
vi sia cooperazione o ancora: che ad esempio le esperienze di scrittura
elettronica (che non sono il mero utilizzo di strumenti o dispositivi
elettronici, come vorrebbe far credere l'ideologia strumentalista) trovino
riscontro o comunque conforto in quella teoria.
Ma non si tratta solo di questo; vedere nella scrittura in quanto
tale (non cioè quale registrazione di una scrittura) una produzione di memoria
equivale anche a dare un fondamento non tecnico al fatto tecnico della
memorizzazione. Voler dimostrare l'esistenza, nella scrittura, di qualcosa che
in fondo è indimostrabile, recando alla tecnica in dono la trascendenza.
Come dire: se la scrittura è tale in quanto impressa, registrata
in un supporto di memorizzazione, allora si può ritenere che essa stessa sia
produzione di memoria. Ciò che ad essa accade necessariamente, la sua
destinazione ad essere memorizzata su di un supporto, si rivela come qualcosa
di costitutivo, qualcosa in cui essa stessa si costituisce.
Il discorso della scrittura si presta ad essere terreno d'incontro
tra la filosofia, che sia messa nel disagio - come ha scritto Leroi-Gourhan -
dal profilarsi di un'epoca di "magnetoteche", e la tecnologia, che di
detta epoca è l'artefice.
La linearità del linguaggio "non sta senza il concetto
volgare e mondano della temporalità (omogenea, dominata dalla forma dell'adesso
e dall'ideale del movimento continuo, retto e circolare)", ovvero senza
quel concetto dell'"ora" che secondo Heidegger ha caratterizzato
l'ontologia (dell'"essere in presenza") e la sua storia, da
Aristotele a Hegel [10].
Si ha così una cultura tecnologica del manoscritto, una cultura
tecnologica della stampa, una cultura ma anche più della tecnologia
elettronica; ed a ciascuna di queste corrisponde una definizione di scrittura:
la scrittura su carta, o quanto meno quella che viene ad estinguersi con la
morte del libro, è lineare, quella - o quelle - elettronica/che al
computer è/sono pluridimensionale/i [11]. Per dire che la scrittura passa necessariamente, ma non solamente
utilizzandoli, attraverso gli strumenti, laddove questi strumenti ora si siano
affermati.
Sostenere che tutta/qualsiasi la scrittura è tecnologia equivale a
dire che ogni scrittura è l"'interiorizzazione" di una tecnologia di
scrittura e, per essere più precisi, di comunicazione.
McLuhan, riallacciandosi agli studi di Carothers, parla
addirittura di "tecnologia dell'alfabeto", per esprimere il concetto
che l'interiorizzazione dell'alfabeto fonetico ha avuto il potere di sottrarre
l'uomo al mondo magico dell'orecchio per tradurlo in quello della vista [12] e l'altro, che "L'alfabeto è la fonte del meccanicismo
occidentale" [13], ovvero: "Senza l'alfabetismo fonetico e il torchio da stampa
l'industrialismo moderno sarebbe stato impossibile" [14]. Egli, proseguendo su questa linea di pensiero, dà corpo a quello
che potrebbe considerarsi l'abbozzo di una teoria tecnologica dei sensi. Una
teoria che farebbe séguito, condividendo il valore centrale che in essi ha l'apprendimento,
ai trattati classici sull'intelligenza umana (dei Locke, dei Condillac, degli
Hume, dei Berkeley). Ma una teoria che non poteva condividere i presupposti dei
punti di vista che l’avessero preceduta.
Dice, questo abbozzo, che la tecnologia, interiorizzandosi,
trasforma i sensi, ma lo fa in un modo singolare, per cui essa sviluppa
piuttosto un organo di senso che l'altro. Ad esempio "La storia del
progresso dalla scrittura a mano alla stampa è la storia della graduale
sostituzione di metodi visivi di comunicare e ricevere le idee al posto di
metodi uditivi" [15]. Le culture pre-gutenberghiane hanno sviluppato il senso
dell'udito; quelle post-elettriche (soprattutto la televisione) il senso del
tatto.
Il veicolo di trasformazione nelle epoche di scrittura è la
scrittura stessa; non già pensata in un modo rinascimentale o romantico, volto
cioè alla valorizzazione dell'Autore, ma nemmeno in un modo trascendentale. Il
soggetto cioè non basta.
Lo sdoppiamento di memoria
È difficile soprattutto pensare l'"interiorizzazione"
della tecnologia di scrittura senza pensare al supporto di memoria. È difficile
parimenti pensare la memoria come astratta memoria e non invece come tecnica:
per memorizzare, per conservare in memoria. Memorizzazione e scrittura-lettura,
nel loro formarsi, hanno bisogno di tecnica; o forse essi sono aspetti o
momenti della Tecnica, la tekne.
Se è vero che tecnico è l'effetto sui sensi in quanto tale e cioè
privo di sovrapposizioni di significato, è vero anche che nel discorso sui
sensi il supporto di memoria è l'elemento che per primo entra nel gioco; questo
è pietra, legno, cera, papiro, carta, superficie magnetizzata, ciascuno dei
quali entra nella scrittura nel momento stesso in cui vi si presta, come possibilità
fondamentale. Nella scrittura si traduce cioè anche il materiale di scrittura:
vi è in ogni inscriptio, sempre raccolta, sempre celata,
l'informazione dettata dalla materialità.
La tecnologia di scrittura s'interiorizza, così, attraverso il supporto
di memoria, venendo ad incidere sulle più diffuse concezioni delle cose.
Nell'attuale epoca dell'elettronica digitale avviene però qualcosa d'insolito
per quanto riguarda la questione della memoria: in essa si cattura la
memoria, materializzandone, rendendone attive tutte le condizioni. Trova
realizzazione come mai era avvenuto prima la struttura del fenomeno della
memoria.
Oggi si ha in altre parole l'artificio dello sdoppiamento fisico
della memoria in relazione alla sue due condizioni fondamentali. Essa da una
parte continua ad esistere come supporto, dall'altra è materialmente avvicinata
e resa contestuale al gesto di scrittura, meglio viene fatta entrare nel vivo
del lavoro di scrittura, può essere in ogni momento usata e attualizzata. Da
una parte si ha memorizzazione (mnème), dall'altra rammemoramento (anàmnesis);
da una, per attingere ancora alla cultura greca antica, si ha corpo,
dall'altra anima.
La macchina analitica di Ch. Babbage |
Il computer trasforma in relazione al tempo il rapporto, che
ancora oggi molti sono usi avere, fra il gesto di scrittura e la
memorizzazione. Esso in relazione a questo rapporto annulla il tempo; o quanto
meno ne consente una diversa rappresentazione. Essendo entità ed unità
mnemonica, esso accoglie la scrittura in una gestione di memoria, in una
memoria "in potenza" che già c'è. La scrittura elettronica si rivela
così (per semplificare) come la scrittura stessa della memoria.
Essendo avvicinata la scrittura alla memoria, sino alla
sincronicità, ed in questo la scrittura al tempo, il tempo sequenziale, che
separa il gesto ed il lavoro della mano dalla memorizzazione, risulta azzerato.
La scrittura azzera il tempo perché essa in certo senso viene prima del tempo.
Scrivere dunque, in relazione alla gestione di memoria messa in
atto dal computer, significa, quanto meno sul piano della psicologia umana,
voler vincere il tempo non una ma due volte: la prima producendo memoria ovvero
arrestando il tempo, cristallizzandolo in una memoria scritta, producendo
"differimento"; la seconda guadagnando ancora tempo, agendo
continuamente entro l'attualità della memoria, che corrisponde all'azzeramento
del tempo; vivendo già in quel tempo cristallizzato; facendo sì che quel tempo
non sia mai perfettamente cristallizzato.
Il tempo è dunque inscritto nella scrittura nel senso che essa lo
fa essere e lo nega, mostrandone anche la illusorietà.
I movimenti non semantici
Lo spazio del differre al quale si è accennato,
ovverosia la dimensione spaziale e/o di spazializzazione della scrittura, ha in
sé la spazialità stessa della comunicazione. Si può dire che la teoria della
scrittura come produzione di memoria vale ad immettere la scrittura nel
circuito della comunicazione. Essa, presentando l'alterità come leggibilità
costitutiva della scrittura, apre la scrittura; applica bene ad essa il dogma
heideggeriano dell'Apertura; pone l'accento sul carattere comunicativo
radicato nel fenomeno di scrittura.
Carattere comunicativo della scrittura significa che essa, ed in
essa il segno, la parola, è, oltre che modo, mezzo di
comunicazione, è cioè interpretabile come medium. Essa in questo
risponde alla definizione luhaniana secondo cui "il medium è
il messaggio". Ovvero: uno degli effetti antiletterari (nel senso in cui è
esistito ed esiste il literate man, l'uomo conformato alla
scrittura lineare) della teoria della scrittura come memoria è appunto dato dal
fatto che il contenuto di un messaggio scritto è nello stesso tempo mezzo per
comunicare quel messaggio. Quasi la "lettera" - ciò che la parola e
la sintassi sono tolta l'attribuzione di senso - fosse il medium.
Tesi, questa, ancora attenta all'aspetto letterario e
post-romantico della scrittura; ma in questo, nonostante questo, tesi
affiancabile alla nozione luhaniana di "movimento d'informazione".
"Movimento d'informazione" indica espressivamente l'informazione
in quanto tale e cioè traduce in concetto il fatto storico che il messaggio, in
séguito alla invenzione del telegrafo (1832), si costituì in quanto tale,
potendo viaggiare ad una velocità notevolmente superiore a quella del
tradizionale messaggero a cavallo ed a quella consentita da "strade,
ponti, rotte navali, fiumi, canali" [17].
Dunque ancora possibilità di confronto, possibilità di vedere
analogie culturali.
In entrambe le descrizioni, sia cioè nella teoria dei
"movimenti non semantici", sia in quella del "movimento
d'informazione", s'impone l'idea di un'autonomia. La quale però si svolge
su piani diversificati: ancora una volta la sensazione è che nel
decostruzionismo si esprima in modo filosofico-letterario, e cercando per essa
anche una rifondazione in senso umano, quello che in McLuhan viene detto in
termini di tecnologia o che comunque è orientato al valore dell'effetto
comunicativo, attorno al quale si costituiscono concettuologie e mondi di
rappresentazione. Ma tant'è, trattandosi appunto in ciò di differenti
tradizioni culturali.
Attraverso la teoria dei movimenti non semantici, il
decostruzionismo, maggiormente sensibile al rapporto culturale con la teologia,
assume una posizione critica rispetto a quello che esso definisce logocentrismo; laddove logos sta
ad indicare l'identità valore semantico-comunicazione e tradisce il senso di attesa del
messaggio.
Parimenti esso è la critica del fonocentrismo, che è
la "metafisica dell'alfabeto fonetico", della "prossimità
assoluta della voce e dell'essere, della voce e del senso dell'essere",
ricompresa nel logocentrismo[18] o anche in generale dell'antropocentrismo, per cui
l'uomo con il suo logos e la sua strumentazione alfabetica si
pone al centro del cosmo, ovvero è "sempre in presenza", quasi le
parole si assimilassero nel senso.
Ma se si preferisce andare al nocciolo della questione, il
decostruzionismo vuole essere la critica dell'umanismo: che è logocentrico,
fonocentrico e antropocentrico. Su questo terreno esso sviluppa l'insegnamento
heideggenano, che è come avesse condizionato parte della cultura europea
occidentale, e s'incontra con altre teorie, le quali non si lasciano inscrivere
in quella cultura, ovvero non muovono dal presupposto di criticare l'umanismo.
Ad una sensibilità teorica adusa all'esperienza del medium elettronico,
o comunque ad esso allineata, la scrittura si presenta sempre più come evento,
sempre meno come monumento.
Il concetto di evento non è propriamente un concetto aggiunto;
esso può frantumare un edificio o renderlo fatiscente. Esso lacera un tessuto,
mostra cioè di avere una sua dirompenza.
La parola ("evento") diviene significativa per la teoria
della comunicazione se interpretata con riferimento alla locuzione
heideggeriana Ereignis des Seins, "evento dell'essere" (:
l'Ereignis "non rinuncia a sé stesso, ma salvaguarda quello
che gli è più proprio" [19]). Per dire essenzialmente, in considerazione di una certa quale
debolezza dell'essere, che un fenomeno è tale perché racchiude in sé la sua
essenza di fenomeno; esso va pensato come tale e non va ricondotto, per essere
interpretato, ad un che di superiore. Esso va interpretato per sé stesso,
ovvero in base a quelle segrete ragioni per cui può solo riunirsi con altri
fenomeni, non dandosi una unità precostituita.
Eventualità della scrittura significa che entra nella
considerazione dei teorici non già la scrittura come sistema compiuto, bell'e
fatto, come autorità della scrittura (il "monumento", appunto; ovvero
anche: la storia non si può chiudere in un libro); ma il fatto in sé che la
scrittura avvenga, accada, così come nella ontologia heideggeriana
dello es gibt Sein l'essere non è ma accade. Proposizione
celebre, alla quale si può affiancare l’altra, che fa capo al decostruzionismo:
anche il frammento ha una sua leggibilità e una certa quale compiutezza.
Esistono invece, nell'attribuzione di senso, solo rinvii da un
segno all'altro, da una parola all'altra; esiste in questo modo un contesto
globale di rinvio, senza che si dia Centro o sostanza. Il discorso,
la sequenza delle parole, la sintassi, perdono così quella coesione e
compattezza che sono impresse nelle nostre immagini mentali: esse non sono più
un continuum, sono pensabili non più come un continuum.
E come se la scrittura non esistesse, ma esistesse quel gioco di rinvii o
conflitto di elementi (Derrida ha coniato a questo proposito il termine différance)
che dà vita poi a qualcosa cui si sia attribuito significato.
Con l'affermazione della eventualità della scrittura accade
insomma alla continuità del discorso qualcosa di analogo a quanto avvenne alla
materia (all'universo cartesiano della materia) in séguito alla scoperta
newtoniana della sua porosità. Divenendo la eventualità una forza del
disincanto, già nel momento dell’apposizione di scrittura.
Si può ritenere che quell'affermazione la si abbia concretamente
con 1' avvento della scrittura elettronica, la quale anche in questo caso, se
pensata, schiarisce i concetti ed insegna ad esempio che la presenza non viene
negata solo dall'assenza ma anche dalla relatività e/o casualità della presenza.
La "macchina riproduttiva"
Il principio d'iterazione - nel quale si celebra il
distacco dell'Autore dal messaggio - è profondamente connesso, nella filosofia
decostruttiva, con la teoria della macchina riproduttiva del
messaggio.
Scrivendo dunque si produce, sotto questo aspetto, "un marchio
che costituirà una sorta di macchina produttrice a sua volta" [20], una entità che ha in sé, per sua costituzione, la qualità di
essere più volte messaggio, la capacità di trasmettere e ritrasmettere
messaggi; più messaggi facenti parte del medesimo messaggio; sempre lo stesso
messaggio in quanto traducibile in una pluralità di significati a seconda del
contesto, linguistico, culturale, di condizione, soggettivo, di ricezione. Una
entità che ha in sé la capacità di "funzionare e di fare e farsi leggere e
riscrivere" [21].
Quanto avviene con la traduzione - così resa - dello scrivere
in entità di scrittura assomiglia un po' a quanto avvenne
secondo McLuhan con l'invenzione della stampa a caratteri mobili.
La iterabilità del messaggio scritto richiama
la ripetibilità che lo studioso canadese attribuisce al
libro [22]. "La stampa [.. .] ha messo in atto la prima meccanizzazione
di un artigianato complicato […] La qualità più importante della stampa è la
sua ripetibilità" [23], ripetibilità collegata alla produzione in serie. Il libro,
essendo prodotto da macchine, è a sua volta macchina, per l'esattezza una
macchina didattica[24]. Nel libro si perpetua e si trasfonde qualcosa che ad esso è
conferito dalla macchina (a stampa), che l'ha prodotto.
Nel principio d'iterazione si celebra la "morte-assenza"
del destinatario e dell'emittente. Dell'emittente in vece dell'autore, perché
l'emittente non si sa se sia l'autore, non è importante che lo sia, non è
importante chi sia l'emittente. Per cui, ancora, muorendo l'emittente l'autore
(e con esso l'essere monumento della scrittura) prende definitivamente congedo
dall'entità di scrittura.
Questo congedo (della scrittura dall'autore e dall'emittente ed in
qualche modo dell'autore e dell'emittente dalla scrittura) trova il suo anàlogon (potendosi
considerare il messaggero come un'allegoria), nell'immagine luhaniana della
emancipazione, attuantesi nella maggiore velocità, del messaggio dal messaggero.
Se il messaggero non è il destinatario, egli è un po' l'emittente,
è lo stesso porsi della presenza umana. Il dire che il messaggio è più veloce
del messaggero significa che il messaggio si emancipa da ogni riferimento
all'uomo ed alla sua presenza.
Idealizzazione e uso allegorico
Scrittura e lettura, ma soprattutto la scrittura, valgono a
designare azioni che non sono propriamente di scrittura o lettura di un testo.
(Anche se resta sempre in piedi la domanda su che cosa sia in fondo
"testo".)
Ciò che è vero con riferimento ad entità di scrittura lo è anche
con riferimento all'atto di scrittura, al porre mano, il quale si
traduce in idea, presentandosi quasi come l'azione par
excellence, alla quale più tipologie di azione possano ricondursi, o nella
quale più azioni si rendano riconoscibili per la loro qualità umana: comporre
un messaggio, disegnare, dipingere, fare una inscriptio su
pietra; scrivere un libro,scrivere musica, scrivere il
diritto; scrivere a penna, scrivere a
macchina; tutto questo diviene scrittura.
Scrivere, così, è addirittura azione che trascende l'oggetto (il
suo "che cosa") o il medium (il mezzo su cui
avviene, che conserva in memoria, che si trasmette), che pure ai fini di
quell'azione sono molto importanti. Anzi l'evoluzione del medium e
del supporto di scrittura nel senso per cui essi si pongono vieppiù quali mezzi
di comunicazione, possibilizza l'espansione semantica della parola scrittura,
richiamando l'attenzione sulla sua essenzialità di gesto essenziale, azione che
per sé ha già la sua efficacia. Ciò che può dirsi avvenga in base ad una regola
generale, per cui la scrittura rinvia ad una economia generale di azione.
Con l'avvento del medium elettronico
quell'idealismo insito nel linguaggio si concretizza perché è il linguaggio a
concretizzarsi: variando il medium si ha il travaso o
trasferimento della possibilità di azione su un altro piano; qui si riuniscono
varie possibilità di scrittura ed in ciò varie possibilità di azione
comunicativa: non solo scrivere o dipingere, ma anche copiare, stampare,
calcolare. Qui tutto diviene così profondamente contestuale.
Con l'avvento soprattutto della digitalizzazione (atomizzazione
uniforme, totale quantificazione, decostruibilità-convertibilità) dei dati, ogni
parola può essere comando; si afferma, si iconizza la filosofia del control panel, il linguaggio è
azione e quell'idealismo, divenendo tutto potenzialmente contestuale, si
concretizza.
È quindi come se attraverso il medium elettronico
venisse ripresa una condizione ideale (l'idealizzazione della scrittura) e
questa fosse tradotta in possibilità nuova ed effettiva; è come se in esso
avvenisse una materializzazione, una entificazione ed una unificazione di
possibilità che prima, sul piano dell'azione effettiva (lo scrivere, il
dipingere, ecc.), erano separate, ed unificate solo nel linguaggio che ne
parlava.
Ma tutto quello che si è detto avviene in un modo paradossale, per
cui in quel mentre ci si avvede del fatto che dietro l'idealismo del linguaggio
vi è l'uso della metafora, forse il disagio stesso del linguaggio.
Scrittura e manualità
Quando si parla di scrittura si parla di manualità,
cioè dell'impatto elementare dell'uomo con la realtà mediante il suo strumento
primario di comunicazione attiva con il mondo esterno: la mano.
Qualsiasi scrittura evoca sempre questo impatto, ne ripropone il senso;
conservando, nella evoluzione dei media e del supporto, non
solo la vicinanza o prossimità all'intenzione, ma anche la materialità propria
di un gesto. Ovvero: pur rimessa costitutivamente alla leggibilità, la
scrittura, rispetto alla lettura, conserva una qualche priorità, che è la priorità del
gesto, del porre mano. Il dogma, se di dogma si può parlare, è un po' quello
della presenza della mano.
Nella vicenda elettronica delle macchine l'attitudine all'imporsi
di fare, al comandare un'azione, al formulare istruzioni perché queste siano
eseguite, si sarebbe potuta arrestare alla scrittura dei programmi, alla
battitura dei tasti di una console. Si sarebbe potuta limitare cioè
al ripetersi del rapporto con la macchina da scrivere, come se fosse venuto a
mutare solo l'oggetto. Così forse pareva potessero andare le cose, almeno a
giudicare dalla possibilità, impostasi originariamente, di comunicare con i
sistemi operativi scrivendo. Ma qui cominciava a giocarsi in certo modo la
possibilità stessa della scrittura.
Infatti la scrittura d'istruzioni, se memorizzata, può non essere
seguita dal comando di eseguire quelle istruzioni. Un comando si scrive in
generale almeno due volte, la prima esso semplicemente si scrive (il
"programmare"), la seconda si scrive perché esso sia eseguito.
Questa diversificabilità dei momenti di scrittura si è
concretizzata, nella evoluzione del software, nell'uso d'immagini
che significano ambiti di azione ed azioni possibili, eseguibili. L'attività di
scrittura, con riferimento al suo oggetto, è divenuta manipolazione d'immagini;
molto della scrittura, del suo habitat, dei suoi strumenti, è stato
differito in memoria, "interfacciato" graficamente: tradotto in
immagini simboliche ed in questo modo sintetizzato, avvicinato alla
eseguibilità. Ora invece di formulare un comando per iscritto si indica con un
gesto della mano il simbolo di quel comando; si indica e si aziona in regime
mutato di manualità il comando che si vuole sia eseguito. Il che significa:
invece di scrivere si compiono movenze della mano, interpretabili da una
intelligenza esteriore.
In questo vi sono, necessariamente, la teatralizzazione di un
ambiente di lavoro entro il quale si traspone e visualizza il gesto, e la
metaforizzazione della mano: il mouse della nostra esperienza
ordinaria dipersonal computing riprende la mano, si adatta al cavo
della mano, è il calco della mano; in quella che può essere ritenuta una nuova
manualità. La quale però non solo inerisce a operazioni di scrittura e
piuttosto assimila alla gestualità propria della scrittura altre potenzialità
operative: espropriando la scrittura della sua gestualità.
Nel personal computing la scrittura è stata
ritradotta in manualità, ma in un modo tale per cui è come se ogni operazione
divenisse metafora di un'azione di scrittura. La priorità di scrittura si è
trasformata in priorità di manipolazione; l'oggetto di scrittura è divenuto
qualsiasi object, sino quello del pensiero, o meglio della mente.
Che attraverso la nuova manualità l'elettronica abbia amplificato
il gesto di scrittura da una parte significa un qualche ritorno alla essenza
della scrittura, dall'altra la crisi dell'identità di scrittura.
Soprattutto si viene comprendendo sotto questo profilo che la
scrittura elettronica non è semplicemente la scrittura, eseguita di fronte al
monitor di un computer. Ma la traduzione in scrittura di un
impulso, di qualsiasi natura esso sia.
Ad esempio: prima dell'epoca dei supporti magnetici si distingueva
nettamente, nella sfera della comune rappresentazione, fra messaggio parlato -
la comunicazione "orale" - e messaggio scritto. Dopo, con la nascita
dei nastri e dischi magnetici, è emersa, con l'unità pienamente raggiunta fra
il parlato e la scrittura, la possibilità effettiva di scrivere parlando,
mediante l'utilizzo dei dittafoni e del software di speech
recognition.
Ovvero: oggi invece di scrivere o di formulare comandi si può fare
in modo che il software riconosca e traduca in scrittura
impulsi nervosi trasmessi a distanza.
Tutto questo segna la crisi della manualità, la crisi della
identificazione della scrittura col gesto della mano. Tutto questo pone la
scrittura di fronte alla prospettiva dell'assenza della mano.
Ma avviene in questo modo qualcosa che è insito da sempre nella
natura del medium. La quale è tale per cui la scrittura esiste dal
momento che qualcosa si traduce in scrittura. Se io scrivo con il computer in
realtà ciò che accade è che il software traduce in scrittura
certi miei impulsi.
Questo significa che siamo in presenza di una trasformazione nella
quale vi sono i germi di crisi della manualità di scrittura, prima ancora che
della scrittura.
L'elettronica è - necessariamente - una esperienza di
scrittura. Nel senso (in apparenza solo riposto) che passare all'esperienza
elettronica è un po' di per sé stesso uno scrivere, un ri-scrivere, e che in
questo modo scrivere non è più scrivere, se non per analogia. La scrittura
elettronica è un complesso di operazioni che si pongono solitamente in un modo
continuativo rispetto alle nostre comuni esperienze di scriptura. Così si scrive
un file come si scriveva un messaggio, una lettera, si scrive
un document come si scriveva un testo scientifico o
letterario; ovvero si scrive una lettera, un messaggio, ecc., adoperando per
questo il software adeguato, essenzialmente software di
scrittura, processore di parole (word processor), con l'abbattimento di
certe qualità.
Si ha qualcosa d'inerziale in questo che è un travaso di contenuti
- si ha un po' quel travaso che si ebbe nel passaggio dalla oralità alla
scrittura -; ma lo si ha ora nel passaggio da una forma tecnicizzata ad altra
forma tecnicizzata, da forma a forma, di scrittura: meglio, in
questo passaggio si ha il prevalere della forma. Ci si avvede di dover scrivere
la forma, a causa di questa specifica trasformazione.
Si assiste ad un nuovo formalismo nella
scrittura, tale quale esso ora sembra realizzarsi nella essenza concreta;
quanto meno, nelle esperienze di scrittura elettronica, la forma assume un
ruolo sempre più importante, sino a divenire decisiva. Essa si emancipa e
s'impone; essa, nelle possibilità di scrittura elettronica, è forte e tende a
darsi, tutelandola, una sua autonomia.
E questo anche avviene all'interno della forma
elettronica di scrittura: nel passaggio dal cosiddetto "modo testo"
al modo interfacciato, nel che consiste un aspetto significativo
dell'evoluzione dell'ambiente di scrittura elettronica.
La forma è ora il formato. Il formato è la concretezza tecnica
della forma; esso è importante per le compatibilità: in esso si riversa il
governo della possibilità stessa di scrittura.
Il modo interfacciato, particolarmente, mostra come la scrittura
elettronica alla fine s'identifichi con il formato di scrittura. Quando si
approda a questa condizione, la scrittura è come si ribellasse alla sua
importazione (accettazione-traduzione in altro formato).
La scrivibilità e la traccia
C'è del vero, al di là degli usi metaforici, nell'idealismo che
veste ed accompagna la parola "scrittura", ed è che nella scrittura
elettronica vige una profonda unità operativa, per cui tutto tendenzialmente è
qualcosa di scrivibile. La nuova verità emersa con l'uso del
computer è infatti, come detto, che - essendo tutto digitalizzabile - la
scrittura esiste dal momento che vi sono impulsi che si traducono in scrittura.
Scrivere nell'electronic writing è un po' tutto ciò
che si fa, che si può e si deve fare, scrivendo; è, come detto, l'ambiente
stesso di scrittura, nel quale tutte le azioni si pongono.
Il concetto è ora più o meno il seguente: come tutto è contestuale
così tutto è, in quanto tale, scrivibile, riscrivibile.
In primo luogo nell'electronic writing si può scrivere
un testo come si può scrivere un data-base, si può scrivere un
campo come il documento di una banca dati, un programma, un comando o una serie
di comandi (scrittura ad esempio di un file-batch).
In secondo luogo tutte quelle azioni che nella cultura
gutenberghiana sono considerate anche alla luce della strumentalità e della
negatività (cancellare, distruggere il foglio per riscriverlo, cestinarlo,
annullare una qualsiasi operazione, ecc.) qui divengono azioni positive di
scrittura.
Se tutto così è scrivibile, allora scrivere può corrispondere (ma
corrisponde) a deletare, riscrivere, registrare, correggere, ripristinare o
annullare (undo: negazione dell'azione, azzeramento di tempo e spazio
con riferimento ad azioni svolte). Ed ancora: tutto è scrivibile nel senso di
ri-scrivibile (con il che s'investe la distinzione fra l'autore e
l'utilizzatore).
Il nuovo principio di scrivibilità che così si afferma fa sì che
ciascuna di queste azioni non sia più l'azione ad essa corrispondente nella
scrittura manuale o nella stampa; l'una ora condivide qualcosa di essenziale
dell'altra, in un profondo regime comunicativo. Il potere trasformativo qui
spetta molto al supporto. Quanto si è venuto dicendo può essere spiegato
ricordando una tesi sostenuta a proposito della scrittura elettronica: che essa
è smaterializzata nella traccia [26].
Il che significa anche: la traccia è la traccia; ciò che la rende
ora diversa, non-materiale, è il supporto. La traccia cambia nel senso che essa
perde, dismette, un suo vecchio abito.
La lettera e la parola scritta o impressa su carta è difficilmente
alterabile, è resistente, mentre le parole ed i caratteri nella scrittura
elettronica hanno una loro evanescenza, sono costitutivamente disponibili, ben
si dispongono alla continua trasformazione e negazione; esse sono immateriali,
aperti.
Vi è come un salto, fra la carta ed il supporto elettronico, che
si attiene, in senso complessivo, alla evoluzione del supporto nella storia: da
materiali pesanti a materiali sempre più leggeri, da materiali ingombranti a
materiali più maneggevoli; evoluzione che scandisce l'evoluzione dell'idea di
comunicazione; nella quale cioè si coglie la traduzione completa della scrittura
(e lettura), come opera del soggetto empiricamente dato, in possibile
comunicazione.
"Scrivibilità" sta quindi per
"comunicabilità"; la quale è dote, forse da sempre insita nella
scrittura, che attende (ha atteso) la "morte del libro" per
rivelarsi; la quale dunque è relativa al supporto di memoria.
Nella scrittura e lettura elettronica il gramma si trasforma in
una maniera tale che la lettera, il "carattere", la parola, denotano
una levità e fragilità che ad esse non appartiene. Se il discorso mostra di non
avere nulla a che fare con la continuità o con l'unità della parola (che è in
qualche modo apparente), se esso mostra piuttosto di essere costruito sulla
cesura; se fra un byte e l'altro è come vi fosse tutto e
nulla, ciò lo si deve addebitare alla natura del supporto.
Riscrivere la scrittura
L'esperienza della forma elettronica di scrittura ha la virtù, o
la capacità, di ricondurre la scrittura alla sua essenza sia pure fenomenica.
L'electronic writing vale ad accorciare la distanza fra la scrittura
ed il pensiero della scrittura, ovvero anche fra il pensiero e la scrittura del
pensiero [27].
La possibilità, che si offre, di ricondurre la scrittura sul
sentiero dell'essenza, la si ha nel passaggio da una forma ad
altra forma, ed include quella che si può ritenere sia/sarà una nuova
esperienza di scrittura globale, ovvero di ri-scrittura, nel senso di
riproduzione di una scrittura.
Per dire appunto che una scrittura che sia così diversa nel
formato, nella traccia e nella forma, è, a causa della notevole diversità del
mezzo, scrittura della scrittura. Ovvero che la diversità della forma e del
formato implica una riscrittura.
Il processo, che è in atto, forse è ancora misterioso: non si sa
se esso sia già iniziato veramente, e cioè in tutte le sue potenzialità, forse
al di là del fatto evidente che una trasformazione è già in corso, è già
praticabile. Per dire che di fronte si hanno possibilità e difetto di coscienza.
Se è la macchina che scrive (nella sua gestione di memoria) allora
essa, e con essa lo scrivente, scrive la scrittura, riscrivendo la riscrive.
Se io riscrivo materialmente ad esempio La divina commedia,
io soprattutto riscrivo riscrivendo, riscrivo la scrittura stessa, a causa
della profonda diversità del mezzo. Non è necessario l'effetto multimediale,
per rendere comprensibile ed ammissibile questo pensiero.
Riscrivere la scrittura è ora il nuovo punto di approdo per la
scrittura, ma ciò avviene in un modo tale per cui io lo faccio in
continuazione, non una volta per tutte: la riscrittura è per così dire in
fieri.
Lettura e visualizzazione
L'elettronica digitale insegna, fra l'altro, che tutto ciò
che è visibile esiste. In essa la semplice visività è datrice di esistenza:
questa è una potenzialità sviluppata dalla tecnologia delle memorie; ripresa
forse dal mondo del libro, forse da quello televisivo ma evidentemente, se di
memoria si parla, non ripresa da alcuno di questi. Nel mondo delle macchine
elettroniche la lettura si scompone in più aspetti ma soprattutto essa
s'identifica essenzialmente, dal punto di vista dell'output, con la
visualizzazione, ovvero con l'effetto visivo, al quale va riconosciuta una sua
esistenza autonoma.
Ovvero: come la lettura nella cultura gutenberghiana si distacca
dalla scrittura, così ora essa è cosa: si costituisce quale realtà
visiva.
In questo modo la lettura assume un ruolo della massima importanza
non essendo però propriamente lettura e forse comunque essendo metamorfosi di
lettura:
essa s'immedesima con la sua stessa entità percettiva; per cui
leggere è lo stesso vedere e ancor più lo stesso riconoscere, in quanto tali.
L'autonomia dell'effetto visivo, che nasce - ma in altro modo -
con la stampa a caratteri mobili (McLuhan), è provata dal fatto che il computer
consente di vedere qualcosa che non esiste in quanto registrato in una memoria,
che è scisso dall'attualità di scrittura: mettiamo un file che non abbia
ricevuto il nome; o di stampare solo ciò che compare sul monitor
(cosiddetto print-screen). Questo si rende possibile ad esempio
quando si memorizza una pagina video in quanto semplice immagine, potendo poi
richiamare tale immagine con un certo programma prestabilito, e dunque vederla,
copiarla, stamparla.
La visualizzazione bisogna supporre sia quindi un effetto di
scomposizione dell'unità di azione riconosciuta per tradizione alla lettura; il
che è insito nel continuum di scrittura. E nello stesso tempo
che lo sia proprio della stessa leggibilità. La visività in quanto visività
nell' azione della macchina interattiva concretizza ed esprime la possibilità
di lettura.
I rapporti d'interazione
Scrittura e lettura nell'epoca dell'elettronica digitale
s'inscrivono nei rapporti d'interazione uomo-macchina (Human Computer
Interaction), in cui ciascuno dei due soggetti o sistemi non è propriamente
tale ma si presta a formare un nuovo sistema (percettivo, di
scambio, ecc.).
In questo sistema almeno quattro sono le possibilità di rapporto
fra scrittura e lettura: a) che l'uomo scriva e la macchina legga, ovvero che
ogni azione umana sia tale per cui la macchina e meglio i programmi che la
fanno funzionare (di sistema ed applicativi) siano nella condizione, o siano
tali, per cui essi interpretino il messaggio umano; b) che l'uomo scriva e
legga, ovvero che ad ogni sua azione di scrittura (input) corrisponda
una sua (altrettale) possibilità di lettura dei risultati di elaborazione del
computer (output); e) che la macchina scriva e l'uomo legga, ovvero che
la macchina produca un output interpretabile dal punto di
vista umano: un output a video (la pagina di un testo, in un
certo formato, un documento qualsiasi), una stampa su carta, ecc.; d) che la
macchina legga e scriva, ovvero che essa in base alla
lettura-ed-interpretazione, o ricognizione, di comandi esegua certe operazioni piuttosto
che altre, o che essa legga qualcosa da lei stessa scritto, un'azione
precedentemente eseguita, ed in base a questo continui nel suo lavoro. Ad
esempio il "leggere-e-scrivere" quale si svolge nelle comuni
operazioni di deframmentazione dei dischi.
Ma questo sia detto anche per comodità, perché è il senso del
nuovo sistema ciò che conta - con il suo linguaggio, le sue nomenclature, le
sue rappresentazioni, la sua gestualità -, in quanto esso non sia né un dialogo
(in cui i soggetti siano presupposti) né un sistema compiuto. Ciò che conta non
è solamente descrivere ciò che avviene, ma cercare di comprendere di che natura
sia ciò che avviene.
"Interazione" sta a significare "azione comune e
reciproca fra", nel nostro caso fra uomo e macchina; ma il problema non è
tanto quello di definire l'interazione ed è invece quello di sapere che cosa in
essa viene a costituirsi.
Ma forse più interessante è ritenere che nell'interazione
uomo-macchina si costituisce una entità di memoria, tale per cui l'azione cui i
soggetti si prestano viene a tradursi in sempre nuova memoria, e tale per cui
questa memoria trascende i singoli soggetti.
L'interazione si traduce in memoria manifestando processi (più o
meno elementari) di quantificazione. Essa può essere considerata come il
rapporto quantitativo fra ciò che l'uomo, l'operatore, fa o sa fare e ciò che
il software può e sa fare sostituendo e non la mano d'opera
umana. Ovvero come il trasferimento di quantità e capacità di azione dall'uomo
alla macchina, con effetto liberatorio per l'uomo: maggiori potenzialità della
macchina (la quale è stata come provocata) e liberazione dell'uomo all'azione.
L'interattività è un po' racchiusa nella domanda: in che cosa io
sono cambiato in seguito al crescente poter-fare della macchina in vece mia? E
gli orizzonti possibili di lettura e scrittura, i possibili modi di essere di
tali operazioni, si conformano alla trasposizione nella macchina di capacità di
azione.
"Azionismo" della macchina e attribuzione di senso
Il discorso sulla interazione mostra ancora di più, ancor più di
quanto non lo mostri una considerazione limitata alla macchina in quanto tale,
come la grande novità introdotta dall'epoca elettronica è che scrittura e
lettura non sono più una prerogativa dell'essere umano.
Significativo è il caso dello scanner, corredato del
suo software (l'Optical Character Recognition), il cui funzionamento
consiste in un leggere (l'immagine) e scrivere (tradurre l'immagine in
scrittura propriamente detta).
Il concetto in fondo è universale; appartiene all'idea stessa di
"sistema operativo" il fatto che la macchina, per avviarsi, per
funzionare chieda al software di leggere e riconoscere.
Ovvero un sistema per avviarsi, caricare i
programmi e poter funzionare deve prima leggere ed interpretare i comandi,
secondo quella che è la lezioncina, vecchia ma attuale, dell'avvio (fase
di boot,bootstrap). All'avvio esso deve poter leggersi,
poter leggere i files di esecuzione automatica, di
configurazione del sistema, o d'inizializzazione.
Ciò che depone a favore della veridicità dell'azione di scrittura
e lettura da parte di un programma è l'essenzializzazione del significato di
leggere e scrivere. La possibilità cioè d'immaginare che cosa sarebbero
scrittura e lettura se private dell'attribuzione di senso: la linea che
congiunge la nascita dei calcolatori e l'algebra. Che si riallaccia al discorso
critico nei confronti della metafisica dell'alfabeto fonetico.
La macchina che legge e scrive suscita la domanda su che cosa essa
legge o scrive. Essa codifica e decodifica, elabora stringhe di bits;
ecc.: dunque il senso delle parole le sfugge. Le sfugge il nostro umano dire
l'assiologia.
A quella domanda si può rispondere allora sostenendo che scrittura
e leggibilità non sono riferibili solo a lettere o parole, né solo a numeri, ma
anche a segni e tracce, a qualcosa che in quanto tale si presenta anche come
incomprensibile, che lo sarebbe senz'altro al di fuori di umane attribuzioni di
senso.
Rielaborazione
di quanto già pubblicato in “Informatica & Documentazione”, n. 3/1998 (pp.
21 e ss.) e in “Jei - Jus e internet” nell’ottobre del 2010.
[1] J. DERRIDA, Firma evento
contesto (1971), trad. it. in ID., Margini della filosofia,
trad. it. a cura di M. Iofrida, Torino 1997, pp. 403 e s.
[2] Ivi, p. 406.
[3] Ivi, p. 404.
[4] M. POSTER, The Mode of Information: Poststructuralism and
Social Context, Univ. of Chicago Press, 1990, p. 126.
[5] DERRIDA, La différance (1968),
trad. it. in Margini della filosofia, Torino 1997, pp. 34 e
ss.
[6] DERRIDA, Firma evento
contesto, pp. 406 e s.
[7] DERRIDA, Della
grammatologia, trad. it., Milano 1998, p.49. La "grammatologia" è
la scienza della scrittura.
[8] J. TARLING, The Struggle
of Writing against the Limitations of Print Culture, Coventry Univ.,
England, 1995.
[9] Ivi, con rif. a M. MCLUHAN, La
galassia Gutenberg. Nascita dell'uomo tipografico, trad. it., Roma 1995, p.
43.
[10] DERRIDA, Della
Grammatologia, p. 127.
[11] Ivi, pp. 126 e ss. Ovvero
consente il, consiste in un, ritorno alla scrittura pluridimensionale (ivi, in
nota).
[12] MCLUHAN, La galassia Gutenberg,
pp. 42 e ss.
[13] MCLUHAN, Gli strumenti
del comunicare - trad. it. di Understanding Media -,
Milano 1995, p. 157.
[14] MCLUHAN, Dall'occhio
all'orecchio, trad. it., Roma 1986, p. 37.
[15] H. J. CHAYTOR, From Script to Print, Cambridge 1945 (p.
4), cit. in MCLUHAN, La galassia Gutenberg, p. 129.
[16] DERRIDA, Firma evento contesto,
p. 395.
[17] MCLUHAN, Gli strumenti
del comunicare, p. 99.
[18] DERRIDA, Della
grammatologia, pp. 19, 30, 31.
[19] M. HEIDEGGER, Tempo ed
essere - trad. it. di Zur Sache des Denkens -, Napoli
1988, p. 129.
[20] DERRIDA, Firma evento
contesto, p. 404.
[23] MCLUHAN, Dall'occhio
all'orecchio, p. 37.
[24] MCLUHAN, La galassia
Gutenberg, p. 199.
[25] Cfr. DERRIDA, Freud e la
scena della scrittura, trad. it. in ID., La scrittura e la differenza, Torino 1990, pp. 255 e ss. Per la
metafora del libro si veda ID., Della
grammatologia, p. 35.
[26] POSTER, The Mode of Information, p. 111.
[27] Cfr. TARLING, The Struggle of Writing.
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