lunedì 20 ottobre 2014

RIFLESSIONI SULLO "ES GIBT SEIN" · (per la riscrittura di un saggio del 1999)



§ 1.- Per secoli, secondo Heidegger, l’essere è stato pensato come esser presente, nel senso temporale che noi attribuiamo solitamente a questa espressione; nel senso cioè in cui “Essere, in quanto presenza, è determinato tramite il tempo”[1].

Ovvero: l’essere è sempre stato rappresentato e percepito dalla ontologia come fosse l’ente[2] (tŒa önta), il quale a sua volta è stato “[…] concepito […] come ‘presenzialità’, cioè […] in riferimento a un determinato modo del tempo, il presente[3]. O anche: spesso noi cerchiamo l’essere in quanto tale e cogliamo invece l’essente[4] (: “l’essere dell’ente”, laddove l'accento cade sull'ente).
Tutto questo, ancora, nel senso per cui nella stessa “oggettualità”, nello stare qualcosa di fronte a noi in quanto oggetto, si può ravvisare un modo della presenza[5].
Nella parte finale di Sein und Zeit si ha, su questa linea, il riferimento critico alla filosofia di Hegel, il quale aveva asserito fra l’altro: “solo il presente è, il prima e il dopo non sono” e ancora: “l’oggetto della filosofia è il presente, cioè il reale”[6]. La riflessione critica si può estendere però sino a risalire all’antichità: della oésÛa  greca e della parousÛa si può affermare che esse racchiudono in sé, in modo predominante, il senso del tempo.
Dunque, secondo Heidegger, l’essere quale “[…] essere dell’essente, all’inizio della storia dell’occidente, e per tutto il suo corso, appare come presenza, come Anwesen[7].
Ma: l’essere “non è una cosa”; “Esso non si lascia, come l’essente, rappresentare e presentare oggettivamente”[8]; esso non passa con il tempo, esso è “niente di temporale”[9]; e, a sua volta: “il tempo stesso non è niente di temporale, come del resto non è qualcosa di essente”[10].

Compito dell’ontologia è ora dunque quello di emancipare l’essere dal tempo, riconducendolo alla sua libertà. La liberazione dal tempo viene posta così come la condizione stessa di pensabilità dell’essere.
E l’obiezione heideggeriana - così vogliamo chiamarla - posta certo con la sua sensibilità, può incuriosire dal punto di vista logico, in un’epoca in cui vi è il principio - serpeggiante, storico, prima che voluto - di azzeramento tecnico di spazio-e-tempo.


§ 2.- La strada percorsa da Heidegger in fondo è quella, del voler/dover togliere al tempo il suo valore di strumento interpretativo privilegiato, prossimo alla coscienza dell’essere cosiddetto “cosciente”. Ma questo non è facile, perché tempo ed essere sono fortemente legati tra loro; ovvero, secondo la chiosa del decostruzionismo ad una nota di Sein und Zeit, non si può “distruggere l’ontologia se non ripetendo e interrogando il suo rapporto col problema del tempo”[11].
La difficoltà, come emerge complessivamente dalla problematica che Heidegger si pone, deriva dal fatto che attraverso il tempo e le sue caratteristiche si può comprendere l’essere (ad esempio: il tempo che “[…] assegna la presenza che spetta all’ente che entra in essa”[12] è una immagine che non si lascia distogliere da quella dell’“essere in presenza”). Ovvero: è difficile rappresentarsi l’essere senza pensare l’azione del tempo (il suo di-spiegarsi); è difficile distinguere il “dispiegarsi nella presenza”, nel suo senso temporale, dall’essere.
La difficoltà dunque - come si legge nel commento di un detto di Anassimandro - è data dal fatto: che “l’essere parla del tempo” e che “l’essere stesso è ‘esperito’ come dispiegamento di presenza e questo dispiegamento è a sua volta ‘esperito’ come passaggio dal sorgere allo scomparire”[13]. (Laddove la difficoltà dunque è nella mortalità.)


§ 3.- Ma: la difficoltà deriva dal fatto stesso che la meditazione di Heidegger sul tempo muove inizialmente dalla riconduzione del tempo al suo radicamento nell’“esser-ci” (Da-sein), ovvero: in quell’ente che l’uomo è, nell’essere dell’ente quale lo si ha nell’uomo (come esserci mio, tuo, altrui, prima ancora che pubblico). E che, fatto questo, sarebbe stato necessario rendere compatibile il punto di vista dell’esserci con quello dell’essere.
Quella meditazione prende l’avvio ne Il concetto di tempo, laddove si legge che: “L’esserci, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo[14].
Quest’affermazione è illustrata efficacemente mediante il concetto di  “precorrimento”[15], anzi: precorrimento del non-più; concetto che non risponde al nostro comune dire linearmente il “precorrere” (nel senso di precedere o anticipare nel tempo) ma che appare, in quanto proprio pre-correre, come un ripiegarsi (dell’uomo) su di sé, ripiegamento legato all’angoscia.
Il precorrere è tale per cui nell’essere sempre ancora in cammino dell’uomo “Rimane […] qualcosa che non è ancora arrivato alla fine. Alla fine, quando vi si è giunti, esso appunto non è più. Prima di questa fine, esso non è mai propriamente ciò che può essere; e se lo è, allora non è più”[16]. E ancora: “Questo non più non è un “che cosa”, ma un “come”. E precisamente il “come” autentico del mio esserci. Questo non più, che in quanto mio io posso precorrere, non è un “che cosa”, ma il come del mio esserci puro e semplice”[17].
Si può dire, del “precorrimento del non-più”, che esso racchiude in sé l’angoscia del futuro, che non potrà mai farsi presente, in un modo strutturale: esso ha in sé racchiuso qualcosa che è tale per cui, parlandone, il filosofo tenta di decifrare l’angoscia, tradotta nel tempo.
L’angoscia, resa così comprensibile, del precorrimento del non-più, è tale per cui “il fenomeno fondamentale del tempo è il futuro[18]; il futuro è tale in quanto è questo fenomeno fondamentale, avvolto nella possibilità d’essere estrema dell’esserci[19]. Ciò indica, appunto, che per l’e-sistente il colloquio con la morte è come già da sempre avvenuto e che da tale colloquio, nell’angoscia governata dal senso del futuro rispetto al presente, è scaturita la temporalità dell’esser-ci. In questo si ha l’elemento della dimensionalità ontologica del tempo; laddove il futuro confuta già la successione dell’ora[20], ovvero la concezione volgare e comune del tempo[21].  Ma lo fa, appunto, nel momento stesso in cui il tempo si mostra costitutivo.


§ 4.- La questione, restando di quel colloquio non tanto la generica memoria quanto piuttosto l’essersi tradotto il “che cosa” in “come”, trova sviluppo in Sein und Zeit, laddove si esprime l’importanza che la comprensione (das Verstehen[22]) dell’essere assume con riferimento all’esserci.
Qui s’incontrano i seguenti enunciati: “L’analitica dell’Esserci resta l’esigenza prima nel problema dell’essere”[23], o: “La problematica dell’ontologia greca, come del resto quella di ogni altra ontologia, deve desumere il proprio filo conduttore dall’Esserci stesso” - al che segue immediatamente, in chiave interpretativa, la necessaria spiegazione: “L’Esserci, cioè l’essere dell’uomo, è assunto così nella ‘definizione’ ordinaria come in quella filosofica, come zÇon lñgon ¦xon, come quel vivente il cui essere è costituito in linea essenziale dalla possibilità di discorrere. Il l¡gein costituisce il filo conduttore per il raggiungimento delle strutture d’essere dell’ente che s’incontra nell’interpellare e nel discutere” [24].
Nell’ordine di tale ontologia (detta, in quell’opera, “fondamentale”[25]) “Il  fondamento (ontologico) originario dell’esistenzialità dell’Esserci è la temporalità”[26] e così: “L’entrata dell’Esserci nello spazio è possibile solo sul fondamento della temporalità estatico-orizzontale[27]; ovvero: il tempo  è la questione principale, l’orizzonte trascendentale dell’essere (dell’esserci), ed ha, sul piano dell’autenticità dell’esserci, una sua superiorità rispetto allo spazio;  ovvero ancora: “[…] anche la spazialità caratteristica dell’Esserci deve fondarsi nella temporalità”[28].
Lo “spazio” in Sein und Zeit viene preso in considerazione, come la spazialità dell’esserci che è l’ordinarsi uno spazio[29]; ma alla temporalità è riconosciuta comunque una funzione fondativa nei suoi confronti (essa è un po’ - per dirla con parole nostre - la meccanica del motore rispetto al moto)[30] e prima di tutto: “Il tempo deve esser posto in chiaro e determinato concettualmente in modo genuino come l’orizzonte di ogni comprensione e di ogni interpretazione dell’essere. Perché tutto ciò sia chiaro, occorre un’esplicazione originaria del tempo come orizzonte della comprensione dell’essere a partire dalla temporalità quale essere dell’Esserci che comprende l’essere[31]. E ancora: “[…] è sul terreno della elaborazione del problema del senso dell’essere che bisogna far vedere che e come nel fenomeno del tempo, rettamente inteso e rettamente esplicitato, si radica la problematica centrale di ogni ontologia[32].
In Sein und Zeit il tempo dunque, quale primo orizzonte della comprensione dell’essere, è chiamato a spiegare l’esserci stesso. L’esserci allora spiega e giustifica l’importanza del tempo tanto quanto il tempo spiega e giustifica l’esserci. E questo dicasi anche per l’ente, in un modo diverso rispetto all’esserci, che pure è anche l’ente, ma proprio in questo anche di schiarimento.


§ 5.- Ma: se il tempo è costitutivo dell’esserci, non si può dire che lo sia dell’essere; il quale è ciò che va teoreticamente salvaguardato. Anzi qui le cose, dopo la cosiddetta “svolta” (Kehre), che caratterizza la evoluzione del pensiero di Heidegger, si pongono diversamente.
Successivamente a Sein und Zeit, attraverso una serie di scritti (quali L’origine dell’opera d’arte, “… poeticamente abita l’uomo”, Costruire, abitare, pensare), vengono a maturare, nel pensiero, le condizioni di un allentamento, rispetto allo spazio, della funzione fondativa del tempo[33]. Si ha così il trascorrere da una posizione in cui il tempo è fondamento ad una posizione in cui, affiorando una qualche distanza rispetto al valore ermeneutico-soggettivo del tempo, avviene, come è stato notato, il “recupero di un’originaria spazialità dell’esserci cui l’uomo originariamente partecipa”[34]. Il che è pienamente ammissibile; ma per chiarezza va aggiunto che vi è in ciò il recupero di un aspetto già emerso in Sein und Zeit. La “svolta”, cosiddetta, non è un rovesciamento, ma il percorrere una curva senza dimenticare quanto già percorso.
Il ricondurre l’essere alla sua libertà avviene in modo chiaro - dopo Sein und Zeit - allorquando il tempo viene relativizzato rispetto all’essere; e allorquando esso viene in ciò liberato dalla sua rappresentazione spaziotemporale (ma sarà così ancora, propriamente, “tempo”?); nel mentre lo spazio è come venisse a sua volta liberato dalla temporalità.
Il sintomo dello sviluppo di una tale posizione lo si può cogliere ad esempio nella meditazione heideggeriana sull’“esser mezzo del mezzo” e sul venire in opera, l’esser messo in opera (nell’opera) della verità, ovvero nell’accendersi di nuovi legami fra verità e cosa, verità e mezzo, verità ed opera[35]; o in generale nell’uso di “metafore spaziali” che non sono semplici metafore, e che piuttosto sembrano affacciarsi - come ha scritto Gianni Vattimo - su qualcosa di teoreticamente rilevante[36].
(Tutto questo porta a liberarsi dalla spaziotemporalità qual è il suo stare di fronte a noi, alla nostra coscienza, la spaziotemporalità quale categoria empirica; ma è della spaziotemporalità che bisogna liberarsi, o non piuttosto dell'unità?)


§ 6.- L’essere, per ciò che esso è nella sua essenza, non è riducibile a tempo.
I nessi fra essere e tempo sono tali per cui, se è vero che “Essere, in quanto presenza, è determinato tramite il tempo”, si può giungere parimenti ad asserire che il tempo è “determinato tramite un essere”.
Infatti il  tempo - come si dice - “passa”; ma ciò può avvenire solo in virtù della sua “permanenza”, ovvero: “nell’ ‘esser presente’ si fa valere, non pensato, nascosto, un presente e il suo durare, ossia il tempo”[37]; il quale, “[…] passando costantemente, permane in quanto tempo”; laddove “Permanere significa: non-svanire, dunque essere presente (Anwesen)”. In questi termini si può asserire che “ […] il tempo è determinato tramite un essere”[38]. Anzi, il tempo è determinato tramite un essere del quale si può dire che è nella presenza.
Sembra, attenendosi alla sequenza delle proposizioni, che così il precedente assunto, riferito alla tradizione ontologica del pensiero occidentale (: “essere è determinato tramite il tempo”), sia ripensabile e non sia l’unico assunto sostenibile. Ovvero la medesima cosa si può dire in due modi diversi, che si confermano e si negano. 
Qui allora si possono fare due osservazioni: la prima è che non si può sostenere, se non per un modo di dire, che vi è un tempo che passa ed uno che permane. Ovvero: quello che permane non è solo tempo oppure se ciò che permane nella permanenza è il tempo, allora vi è nel tempo qualcosa che è irriducibile allo stesso (suo-non suo) permanere; non essendo pensabile, per esservi l’uso della parola “essere”, che vi sia “essere del tempo” riducibile a tempo.
La seconda è che se il tempo ha un “essere”, se esso per ciò che risulta dal (suo) permanere è determinato tramite un essere, allora il tempo non può limitare, nel senso che non può fondare, da un punto di vista rigorosamente ontologico, l’essere.
Queste osservazioni sembrano condurre, entrambe, alla medesima conclusione; ovvero: quando si parla di permanenza non è propriamente solo del tempo che si fa parola; ma di qualcosa di essenziale, irriducibile per definitionem.


§ 7.- Nell’essere, secondo Heidegger, si raccolgono due aspetti: in esso non si ha solo temporalità ma anche disvelatezza[39]. E nella seconda si ha qualcosa che prende il luogo della prima.
La temporalità la si può riferire all’essente, e cioè, nella manifestatività,  all’essere dell’ente, e dunque all’ente il quale in tal senso, appunto, è; mentre dell’essere, colto nel dispiego, nel disvelamento, che in sé anzi racchiuda la negazione dell’ente, si dice prudentemente: (esso) c’è, si dà (“es gibt”).
Essere si dà significa qualcosa come: l’essere viene (in libertà) all’uomo su un territorio che non è dell’uomo; ciò che è il pensabile dal punto di vista dell’Apertura: “Quando noi abbiamo compreso qualcosa diciamo anche che qualcosa si è dischiuso e si è aperto a noi. Questo dipende soprattutto dal fatto che noi siamo dislocati all’interno di ciò che si è aperto e siamo continuamente determinati da esso”[40].
In questo senso, se si dice es gibt Sein (“si dà essere”), ciò significa che dell’essere si viene a parlare volendo prendere distanza dalla rappresentazione della presenza in senso essenzialmente temporale. L’incedere dell’essere verso l’uomo, il suo (come si vedrà) venire alla presenza secondo una territorialità che non è (più) quella propria dell’esserci dell’uomo, libera in qualche modo l’ontologia dalle ragioni del tempo, anche se siamo ancora nell’uso delle immagini o delle metafore.
Pensare secondo la prospettiva dello es gibt Sein e, in questo, voler liberare l’essere dalla pregiudiziale della temporalità, significa liberare spazio, cessare dal fondamento, interrogarsi sul luogo (liberarlo), e cioè sul Dare, sul Dono (del dare); significa assegnare una (nuova) località propria all’essere: “Pensare propriamente l’essere esige che si abbandoni l’essere come il fondamento dell’essente a favore del dare che gioca nascosto nel disvelamento, cioè a favore dello “es gibt”. L’essere, in quanto è la donazione (Gabe) di questo es gibt, trova il suo luogo proprio (gehört) nel dare […]”[41].
Vi è dunque un tempo del Dare che è il luogo nel quale (come ci accade di sentire che una immagine, un pensiero, un ricordo torna a noi, ci raggiunge) l’essere viene a manifestazione, si disvela per come essa lo fa.  Ovvero: il luogo dell’essere è già proprio nel dare stesso di quello es gibt[42]; è nell’“aver stanza e soggiornare” quali caratterizzano il venire nella presenza e meglio ancora: il venire-ed-essere-nella-permanenza[43]; è l’avanzarsi al nostro riguardo dell’essere nella presenza[44]: “L’Anwesenheit, essere-nella-presenza, significa: il continuo soggiornare (Verweilen) [dell’essere] offerto all’uomo, la cui [dell’essere] venuta lo raggiunge e lo riguarda”[45]. Ovvero la presenza, se s’intende continuare nell’uso di questo termine, non è la presenza che si riferisca a ciò che è presente.
È dunque nell’esser posti i termini del pensiero come in una nuova dimensione territoriale, è nell’assumere teoreticamente questa territorialità (come località dell’essere) corpo e solidità, è in questo liberare spazio, che viene in risalto (in un diverso sentire la conoscenza), nella evoluzione dell’opera di Heidegger, il senso dello es gibt Sein.


§ 8.- Lo es gibt Sein è quindi il nuovo punto di vista della ontologia.
Come nuovo punto di vista della ontologia esso si pone quale chiave di lettura universale. Ovvero si può ripercorrere la storia dell’ontologia presumendo - come si fa ogniqualvolta si fondi una nuova dottrina di ordine generale - che quel “si dà essere” sia il punto di partenza (minimo), o la profonda piega, di tutte le dottrine dell’essere: quella platonica della Þd¡a, quella aristotelica della ¤n¡rgeia, quella hegeliana del “concetto assoluto”, quella nietzscheana della “volontà di potenza”. Le quali non sono - appunto - “dottrine proposte a caso, ma parole dell’essere in quanto risposte ad un appello (Zuspruch) che parla nel destinare (Schicken) che cela sé stesso, nello “es gibt Sein””[46].
Lo es gibt si eleva così a principio: esso, proprio nel suo addirsi all’essere, ha una portata tale da estendersi a ciò che non è ente, ciò che non è né oggetto, né soggetto (: visibile, conoscibile, sensibile); a tutto ciò che (in tal senso) non è. Esso è ciò che il conoscibile, nel suo fato, consente di essere.
Così è per il “nulla”; e così anche del tempo si può sostenere che esso è niente, che “c’è”, ovvero “si dà”: es gibt Zeit (“si dà tempo”); sospendendo il giudizio, portando i concetti lontano da un Centro.



· Versione rimaneggiata di quanto già apparso in “Nuovi studi politici”, aprile-giugno 1993 e nel mio L’anima e la macchina, Milano, 1999.  
[1] Heidegger, Tempo ed essere [1962] - trad. it. a cura di E. Mazzarella -, Napoli 1988, p.  103.
[2] Heidegger, Che cosa significa pensare? [1952] - trad. it. in Id., Saggi e discorsi (a cura di G. Vattimo) -, Milano 1991, pp. 94 e s.
[3] Heidegger, Essere e tempo [1927] - trad. it. a cura di P. Chiodi -, Milano 1976, p. 44. 
[4] Heidegger, Poscritto a Che cos’è la metafisica? - trad. it. in Id., Che cos’è la metafisica? (a cura di A. Carlini) -, Firenze 1984, p. 46. Cfr. anche, della medesima opera, l’altra traduzione italiana in Heidegger, Segnavia  [“Wegmarken”, 1967], (a cura di F. Volpi), Milano 1987, p. 260.
[5] Heidegger, Seminari - trad. it. di  M. Bonola (a cura di F. Volpi) -, Milano 1992, p. 153.
Il legame fra l’esser presente fisicamente in un determinato luogo e l’essere come “presenza” (nel senso della temporalità) viene in evidenza in E. Severino, La filosofia contemporanea, Milano 1997, p. 243.
[6] Per la prima proposizione cfr. Heidegger, Essere e tempo, pp. 513 e ss., e di rimando Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, §§ 254, add., e ss. (o anche Id., “Prefazione” alla Rechtsphilosophie). Per la seconda Hegel, La ragione della storia, ed. Lasson, 1917; riportata in K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche - trad. it.-, Torino 1949, pp. 315 e s. (Löwith osserva subito, peraltro, che il concetto hegeliano del tempo fu abbandonato già dai suoi discepoli: ivi).
[7] Che cosa significa pensare?, pp. 94 e s. Cfr. anche Heidegger, La questione dell’essere - trad. it. in Segnavia -, p. 350.
[8] Poscritto (trad. Carlini), p. 46. Cfr. anche la trad. Volpi, alla p. 260: “A differenza dell’ente, l’essere non si lascia rappresentare o produrre come oggetto”.
[9] Tempo ed essere, p. 104.
[10] Ivi, p. 118.  
[11] J. Derrida, “Ousia” e “grammé” - Nota su una nota di “Sein und Zeit” - trad. it. in Id., Margini della filosofia  -, Torino 1997, p. 61.
[12] Heidegger, Concetti fondamentali [1941] - trad. it. a cura di F. Camera -, Genova 1989, p. 141. 
[13] Ivi.
[14] Heidegger, Il concetto di tempo [1924] - trad. it. a cura di F. Volpi -, Milano 1998, p. 40.
[15] Ivi, pp. 37 e ss.
[16] Ivi, p. 36.
[17] Ivi, p. 38.
[18] Ivi, p. 40.
[19] Ivi, p. 35. Ma cfr. anche, della medesima opera, ad esempio la p. 43: “Anche nel presente del suo prendersi cura l’esserci è il tempo pieno, e precisamente in modo tale da non liberarsi del futuro. Il futuro è adesso ciò in cui la cura si impiglia, non è l’autentico essere futuro del non più, ma il futuro che il presente stesso si forma come proprio, dacché il non più come futuro autentico non può mai farsi presente. Se lo facesse, sarebbe il nulla”.
[20] Cfr. anche H. G. Gadamer, La teologia di Marburgo - trad. it. in Id., I sentieri di Heidegger -, Genova 1988, pp. 30 e s.
Sulla costitutività del tempo per l’essere dell’esserci si vedano le (sempre) chiare parole di A. Lombardi, Psicologia dell’esistenzialismo, in AA.VV., L’esistenzialismo, Roma 1943,  pp. 71 e s.
[21] Si veda, su tale concezione, quanto sarà detto più ampiamente infra.
[22] Sul valore ontologico che la comprensione assume nel pensiero di Heidegger, si veda il saggio di F. Bianco, Comprensione dell’essere e linguaggio: Heidegger e i problemi dell’ermeneutica contemporanea - in AA.VV., Heidegger e la metafisica, Genova 1991 -, pp. 83-106.
[23] Essere e tempo, p. 34.
[24] Ivi, p. 44. L’espressione greca “zÇon lñgon ¦xon,” viene solitamente identificata con il latino “animal rationale”.
[25] Essere e tempo, p. 30.
[26] Ivi, p. 287.
[27] Ivi, p. 443.
[28] Ivi, p. 440.
[29] Ivi, p. 441; ad es.: “L’Esserci è spaziale nella forma dello scoprimento ambientale dello spazio, e ciò in quanto si rapporta costantemente all’ente che si incontra in questa spazialità disallontanandolo” (Cfr. in generale, della medesima opera, le pp. 440 e ss.).
Sul motivo della spazialità dell’esserci come “dis-allontanamento”, “in-essere disallontanante”, cfr., della medesima opera, il § 23 (“La spazialità dell’essere-nel-mondo”, pp. 137 e ss.). 
[30] Ivi, p. 442.
[31] Ivi, p. 35.
[32] Ivi, p. 36.
[33] E. Mazzarella, La “Seinsfrage” come “Kehre” e come “Denkweg” (: Introduzione a Tempo ed essere, trad. it. cit.), pp. 51 e s. Cfr. anche Tempo ed essere, p. 130.
[34] Mazzarella, La “Seinsfrage”, p. 57.
[35] Heidegger, L’origine dell’opera d’arte [1935] - trad. it. in Id., Sentieri interrotti (a cura di P. Chiodi) -, Firenze 1997, pp. 14 e s. Ciò che avviene in un modo illustrativo  nell’attribuzione di significato alle scarpe della contadina del quadro di Van Gogh (ivi, p. 21).
[36] Cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, L’arte e lo spazio - trad. it. a cura di A. Angelino -, Genova 1988, p. 10. Si veda, del medesimo autore, La fine della modernità, Milano 1985, p. 88 (: “Ornamento monumento”).
[37] Heidegger, Ritorno al fondamento della metafisica [1949] - trad. it. in Che cos’è la metafisica? -, p. 79.
L’opera (titolo originale: Einleitung zu “Was ist Mataphysik?”) si trova tradotta anche col titolo Introduzione a: “Che cos’è metafisica?” (pubbl. in Segnavia). In questa seconda versione il medesimo brano viene reso nel modo seguente: “Nell’essere-presente domina, non pensato e non velato, il presente e il perdurare; nell’essere presente, quindi, dispiega la sua essenza (west) il tempo” (p. 328). 
Pur attenendoci, in questo scritto, alla prima delle due versioni, della seconda daremo puntualmente conto. 
[38] Tempo ed essere, p. 103.
[39] Che cosa significa pensare?, p. 95.
[40] Concetti fondamentali, p. 33.
[41] Tempo ed essere, p. 107.
[42] Ivi.
[43] Ivi, p. 115.
[44] Ivi.
[45] Ivi, p. 116. Le parole fra parentesi quadre sono mie. 
[46] Ivi, p. 111. 

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