I
CARATTERI DELLA SPIRITUALITÀ
Io ho nella mente, sempre, l’effetto di postulato dello scritto di Condorcet (matematico, economista, filosofo), Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humaine. Mi viene spontaneo descrivere quello che considero in fondo un racconto attraverso la formulazione di due principi, o assiomi: che se vi sono stati progressi dello spirito umano allora vi è stata storia; e prima ancora: che il fatto è progresso.
Alla storia, al
racconto, senza codesti principi, verrebbero come a mancare le ragioni e i
presupposti. Oppure sarebbe dato campo libero alla fantasia, al costrutto
poetico, figurandosi ancora uno gnomo, o un cavallo che raccontano dell'uomo,
scomparso dalla faccia della Terra, in un clima di dopo-storia e anche un po’
leopardianamente; per non parlare del puro e semplice ridire della eclisse del
sistema spirituale hegeliano (senza tenere conto del suo valore, storico-obiettivo),
le riflessioni di A. Kojève e di chi ne ha tratto alimento attribuendo l'unica
autorità, in fatto di teoria dello spirito, al filosofo tedesco. E ora dunque mi domando con riferimento al sette-ottocento: prima i francesi forse che i tedeschi, quali eccellenti sistematori?
Condorcet, nel momento stesso in cui scrisse un libro nel quale ripercorreva le nove (più la decima, il futuro, stando alla sua classificazione) epoche fondamentali dell'umanità, enumerandone i progressi dal punto di vista della civiltà, scrisse eo ipso una storia e contributo al conio della idea di storia. Il suo “quadro”, realiter, era una storia come il segno dell'avvenuto ingresso, umano, in una diversa sensibilizzazione - rispetto sostanzialmente a quella dell'antichità o del medioevo (cristiano) - con i suoi profondi contenuti di modernità; e nello stesso tempo come il segno di un'acquisita coscienza: non semplicemente del fatto che l'uomo abbia realizzati molti progressi, nel suo cammino ma che vi siano stati progressi, che ciò sia avvenuto per un principio di umanità della ragione e che ciò che esiste sia non semplicemente l'uomo empirico, che per così dire stia, imprigionato, dentro il fatto (come accadeva al modo di scrivere la storia proprio di un Erodoto, secondo Hegel) ma di più lo spirito umano, il quale si presenta come un che di progressivo per definitionem: alla fine cioè in un modo più profondo di quanto non dica l'esperienza di questa o quella invenzione o scoperta.
Condorcet, nel momento stesso in cui scrisse un libro nel quale ripercorreva le nove (più la decima, il futuro, stando alla sua classificazione) epoche fondamentali dell'umanità, enumerandone i progressi dal punto di vista della civiltà, scrisse eo ipso una storia e contributo al conio della idea di storia. Il suo “quadro”, realiter, era una storia come il segno dell'avvenuto ingresso, umano, in una diversa sensibilizzazione - rispetto sostanzialmente a quella dell'antichità o del medioevo (cristiano) - con i suoi profondi contenuti di modernità; e nello stesso tempo come il segno di un'acquisita coscienza: non semplicemente del fatto che l'uomo abbia realizzati molti progressi, nel suo cammino ma che vi siano stati progressi, che ciò sia avvenuto per un principio di umanità della ragione e che ciò che esiste sia non semplicemente l'uomo empirico, che per così dire stia, imprigionato, dentro il fatto (come accadeva al modo di scrivere la storia proprio di un Erodoto, secondo Hegel) ma di più lo spirito umano, il quale si presenta come un che di progressivo per definitionem: alla fine cioè in un modo più profondo di quanto non dica l'esperienza di questa o quella invenzione o scoperta.
Il poter parlare di “racconto”,
con un fare schiettamente contemporaneo, badando al costrutto letterario della Esquisse, fa venire alla mente una immagine
a noi offerta dalla filosofia contemporanea, secondo la quale cominciando la
storia cominciano le storie, l'una e le altre essendo in fondo lo stesso, in
una prospettiva di conciliazione, dal punto di vista della profondità del
pensiero e dal punto di vista della sensibilità, prima ancora, per cosìdire,
di ricavare da quella espressione il senso della dissoluzione dell’ “uno” nel “plurale”,
che certo vi si ha, necessariamente.
La Esquisse - che ricorda in qualche modo
certi congressi dell’industria o
certi expo, come si dice oggi, che
chiamano a raccolta le nazioni - in
fondo prima di essere “la storia” è “una storia”. È a quel modello, a quello
stile spirituale, unitario, che si fa riferimento nella proclamazione corrente della
cosiddetta “fine della modernità”, e così della storia basata su un principio, duplice,
di unità e di progresso, con il loro contenuto di “principio”. È stato presumibilmente
a causa dell'oggetto, dell’oggetto materiale e formale creato dall’ingegno
umano (la locomotiva di Dessauer, ad esempio), che ad un certo punto quella che
era nata come una storia (che si riferiva ai progressi, in forma di racconto, o
di mito) racchiudesse in sé la possibilità di tradursi in ciò che è la storia. Il che non nega certo, per
quanto affiora dal dire “inizia la storia, iniziano le storie” (Derrida), che
la storia, la più spirituale, la più scientifica, si sarebbe potuta liberamente
reinterpretare (siamo nel postmoderno, con una diversa sensibilità) come “una
storia”, una immagine, o che vi sia possibile opposizione fra l'una e le altre.
La nascita di una storia
spirituale si spiega dunque necessariamente con l'idea, il principio di
progresso e il progresso, i progressi materiali, il quale si può asserire a
questo punto che sia qualcosa che essenzialmente liberi nuove energie,
spirituali e materiali, dell'uomo in quanto tale.
Codesto insegnamento
può trovarsi, formalmente espresso, nella filosofia della storia di Hegel, il quale
sosteneva che maggiore è la crescita della libertà spirituale, della ragione,
maggiore ne è la capacità di vedere il profondo e lo spirituale laddove si sia
sempre vista particolarità e materialità.
La strada in certo
senso era stata già preparata se si considera il seicento quale oggetto del pensiero:
come la nascita dell'idea di progresso, e come l'acquisto, in quel momento della
storia del pensiero, degli elementi indispensabili per una nascente modernità
come nascente sensibilità. Per avere uno schiarimento su che cosa sia codesta nascente
sensibilità, si può pensare alla immagine del pendolo dell'orologio, in
Nietzsche.
L'Esquisse, si può dire secondo codesto
profilo, è e non è la manifestazione della mente del suo autore; di più se ne
può cogliere il valore storico-obiettivo, in relazione con l'idea di progresso.
Il valore
storico-obiettivo è in ciò: che la coscienza del progresso induce alla
riflessione e al bilancio sull'uomo, il quale ha un senso, il quale è l'Umanità,
ora, se ha una storia.
Il carattere storico-obiettivo
che l'Esquisse aiuta a riconoscere, consiste
nel bisogno, che il pensiero filosofico denota in quell'epoca, di riconoscere
uno spirito umano, non tradizionalmente religioso.
Che esista uno spirito
umano, un che di astratto e di unitario, progressivo per definitionem, trova riscontro, dal punto di vista storico-obiettivo,
nonostante le differenze e dunque la possibile contrapposizione fra l'un “spirito”
e l'altro, nell’idealismo dialettico, per il quale esso, il “corso” dello spirito,
“è essenzialmente un progredire”; e cosìnella teoria storica dello spirito
positivo, per la quale l'umanità volge necessariamente, essendo come già segnato
il suo cammino, dopo lo stato originario “teologico” e quello successivo, “metafisico”,
al regime definitivo della ragione, nell'“ordine”, essendo lo spirito
cosiddetto “positivo” qualcosa che già era riconoscibile, nonostante tutto, nello
stato teologico, qualcosa insomma che solo può dare la profonda unità storica all'Umanità.
Il bisogno di scrivere
la storia come un che di umano, codesto bisogno di un'umanizzazione, e la
storia in ciò quale strumento della spiritualizzazione, come metafora dello spirituale,
si ha anche nella suggestione dell'uomo primitivo, la quale racchiuda in sé il thema
della essenza: una domanda in più, sempre, rispetto alla possibile risposta
religiosa.
Per ciò che si è detta
la differenza e la possibile contrapposizione rispetto all'idealismo
dialettico, in certo qual modo la materialità del progresso nella Esquisse si ha e si conserva, rispetto
alla filosofia della storia di Hegel, nell'uso stesso del concetto, ovvero nel regime
della riflessione piuttosto che in quello della cosiddetta speculazione.
L'“effetto di postulato”,
e cioè il riconoscere come da un racconto, ovvero dal venire ad esistenza di un
libro, sui progressi umani, sia desumibile un che di assiomatico, potendosi ritenere
astrattamente l'assiomaticità come l'antitesi del racconto, o del romanzo; tale
effetto denota, a ben riflettere, la nascita, nella nostra cultura europea, di una
storia spirituale, la quale non lo è sic et
simpliciter spirituale (secondo uno spirito immutato e preesistente) a causa
della cultura teologica, di un cristianesimo illuministico (se così fosse, peraltro,
s'incontrerebbe una certa inutilità dal punto di vista della interpretazione) ma
piuttosto a causa del suo oggetto. di fronte al progresso, nel quale si ricomprende
l'evoluzione della tecnica, e ad esempio per ciò che è un tema importante nei
nostri tempi, a quei riflessi storici del progresso che sono nella cosa, che
pensando il progresso, ma in realtà per cosìdire vivendolo assai più di quanto non
lo si pensi, ci si spiritualizza, si scopre lo spirituale che si annida nel materiale.
Laddove i cosiddetti “progressi” sono appunto l'indice o il simbolo di una
certa quale materialità, ma lo sono in quanto il pensiero che li pensa è lo
spirito, che in essi si riconosce.
I progressi, in
generale, sono e non sono i fatti, e se lo sono, in generale e nell'Esquisse, ciò è per la qualità dell'animo
o del sentimento che vi si riconosca, quasi vi si proietti, in quanto appunto
postosi nella condizione del giudizio; “progresso” in certo senso alla fine è
come dire: “questo è bene”, e regresso è come dire “questo è male”; se
s'intende con l'intelligenza come quei modi di dire abbiano un valore nella
loro trasparenza, rispetto alla quale non è importante ciò che è bene e ciò che
è male ma il fatto, stesso, del giudizio. In certo modo si potrebbe sostenere che
la storia, spirituale, avente in sé il progresso quale principio, è il frutto del
giudizio. Si nota allo stesso tempo come il progresso, dal momento che se ne parla
in un libro come l’Esquisse, è
attraverso il giudizio che si è potuto tramutare in idea.
ll dato di fatto, che
vi sia giudizio, è legato alla, oppure si può spiegare con l'intensificazione, del
sentimento umanistico, che è nella ragione che diviene irriconoscibile. Il
quale ha il potere morale di tonificare. Storia, secondo l'immagine unitaria che
è fornita dall’Esquisse, è la presenza
preziosa, unica, dell'uomo, qualificata in un certo modo, ed è quindi come dire
“preziosa coscienza”, incoraggiante.
È alla figura
dell'uomo nei termini spirituali, nutriti dalla materialità che si diceva, che va
ricondotta, stando all'Esquisse, la
sintesi dei progressi dello spirito in Grecia “in prossimità del secolo di
Alessandro”, dell'“ingegnosa invenzione dei logaritmi” e della “legge della
caduta dei corpi”, scoperta da Galilei. Oppure: è all'uomo che vanno ricondotte
le storie: degli stati e governi, della navigazione e dei commerci, delle
scoperte scientifiche. Ora però, bisogna precisare, l'uomo non era più l'uomo del
quattrocento, se il parlare di spirito umano cambiava il sentimento storico.
I “progressi”, ad una
più attenta considerazione, appaiono, nella loro essenza di pensiero, come umanismo
fattosi pensiero, e dunque quell'effetto di postulato di cui si parlava è
legato al fatto, assai lineare nell'apparenza, che in quel libro è il pensiero
che si prova a ritrarre sé stesso, come una storia che si offre nei concetti (ben
spirituale rispetto ad esempio alle Istorie
fiorentine del Machiavelli) con un carattere, suo, di necessità spirituale,
e in ciò prima ancora (è il pensiero che si ritrae) come principio e come
progresso. Dove si coglie alla fine, ma non tenendosi in piedi la cosa con questa
semplificazione d'immagini, che sosta presso rapporti di esteriorità, la
presenza dell'idea da una parte, e del progresso storico materiale, in primis come condizioni materiali di
progresso, dall'altra.
La storia spirituale,
se è il progresso, lo è in quanto necessario spirituale progresso, e quel
postulato, per cui se vi sono stati progressi dello spirito umano allora vi è stata
storia, dice come la necessità possa entrare, sia entrata a farne parte, nel mondo
dello spirito. La storia si può sostenere sia il progresso nel senso che essa è
ciò che va, per necessità, verso il suo stesso miglioramento, come un tutto, quasi
fosse un organismo ideale, e non ad esempio verso la propria morte. Quella spiritualità,
va aggiunto con un breve riferimento alla filosofia sociale dei nostri giorni, ha
un suo profondo realismo, e dunque attaccarla, o disconoscerla, può significare
derealizzare, mettere in crisi il cosiddetto “principio di realtà”, crisi che
quella filosofia (Baudrillard, Vattimo) ha messa in evidenza lasciandone
intravvedere il senso normativo.
La spiritualità, così
acquisita al modello storico, dopo secoli di “cronache”, va dunque ricollegata
all'emergere di una necessità spirituale,
di un'acquisita nuova dimensione della coscienza. La coscienza è tale per cui lo
spirito, la creatività, la scienza, sono
la necessità, e il progresso esiste in un
certo senso a prescindere dalla coscienza storica che se ne abbia.
I progressi, in generale,
sono e non sono i fatti. Nell'Esquisse
il fatto è come progresso, per quel secondo postulato del quale si parlava; lo è data la
necessità spirituale. L'osservazione coglie nel racconto di Condorcet come tutto il negativo (ciò che la negazione è,
o significa, o dice di positivo) venga quasi dimenticato, come insomma esso
volga al positivo. I conflitti ad esempio si può ritenere a ragione siano visti
da Condorcet come destinati al positivo che dovrà seguire.
I regressi, quei
fatti che sono gl'indici del regresso, se
la storia è progresso (altrimenti non è storia) possono sostanzialmente essere ritenuti
fattori indispensabili di quasi conseguenti progressi, profilandosi in ciò il possibile
accostamento al modello, a noi noto, della
“storia come storia della libertà” (la quale può essere ritenuta il frutto e l'espressione dell'entusiasmo, oppure
di un distacco dal realismo), ma non, a rigore, solo a codesto modello profondamente
liberale; anche invece ad esempio alle riflessioni che s'incontrano in Umano, troppo umano, sulla reazione romantica
all'illuminismo come rientrante nel concetto di “possibilità del progresso”.
Si nota in certa quale
spiritualità positiva dell'uomo, per cui dalle guerre di religione sarebbe nata
la tolleranza in materia di confessione, senza dubbio un cambiamento d'aria rispetto
alla condanna ritenuta più strettamente illuministica, della guerra, nella Encyclopédie.
E maggiore realismo storico, il realismo che è nel carattere di ciò che si
esprime con le parole “necessità spirituale”.
Ancora, l'osservazione
può dire, esprimendosi la cosa (il concetto cioè di necessità spirituale) con altre
parole, che la “filosofia” di Condorcet è in fondo quella delle conseguenze
necessarie: delle conseguenze necessarie del progresso, e parimenti del progresso
come conseguenza necessaria. Ciò che appare come racchiuso nella sensazione: che
le rivoluzioni materiali, soprattutto quella di Francia, segnino una penultima
epoca, dopo la quale l'affermazione della libertà (ad esempio nelle colonie) e
della ragione sarà una conseguenza necessaria; un'epoca dunque della quale si può
dire che essa è penultima in quanto già, per un principio, o un fattore
dell'entusiasmo, ultima.
Nasce così, secondo
il principio di necessità spirituale, il fatto come fatto spirituale, alla luce
del progresso reale della scienza e della tecnica. Codesta “spiritualizzazione”,
a sua volta, si può considerare come avvenga nei princìpi scientifici, come accade
notoriamente per la “gravità” newtoniana, rispetto alle approssimazioni di Cartesio.
Come accade che il logaritmo (al quale Condorcet si mostra sensibile) sia una nuova
astratta, più spirituale, strumentazione del calcolo, o come si diceva, della geometrizzazione,
o meglio: del cervello o del pensiero; in queste progressive astrazioni e nel
riconoscimento di sé da parte della ragione consistendo propriamente i lumi.
Si può dire inoltre che così la macchina, l'automa
che si muove, che fa qualche cosa di umano, è per cosìdire
spiritualizzazione della macchina, ravvisandosi in ciò che è macchina, col trascorrere
del tempo, la legge, per cui essa si allontana dall'evidenza, stessa, della sua
meccanicità, come spiritualizzandosi.
SPIRITUALITÀ
E RIVOLUZIONE
Io ricollego la
spiritualizzazione del fatto al principio di rivoluzione, affermato dalla scienza, nella
quale poi si può comprendere, da un punto di vista meno letterario, come la spiritualizzazione
sia avvenuta soprattutto nella scienza - mentre la cosmologia era rimasta
stravolta, da Copernico a Newton con la grande accumulazione delle nuove
scoperte - e come essendosene accorti alcuni pensatori (ad es. Clairaut, il
quale diceva che i Principia di
Isacco Newton avevano segnato “l'epoca di una grande rivoluzione nella fisica”).
Laddove tutto ciò che
si sta qui dicendo, sulla nascita di una nuova coscienza, significa che la nuova
spiritualità, acquisita alla coscienza storica, è una spiritualità data da quello
spiritualizzarsi della nozione, ovvero dello strumento scientifico.
Laddove, ancora, quello
spiritualizzarsi fu definito rivoluzione,
e la spiritualità è quella della rivoluzione. Lo spirito umano, l'umanismo
intensissimo che gli è dentro, non è il Gesù
dello scritto giovanile hegeliano del Lebens
Jesus; ma la spiritualità stessa del progresso scientifico, la quale si riversa
e costituisce il nucleo vitale dell’Esquisse.
Il pensiero si prova
a ritrarre sé stesso; lo fa chiudendo l'esperienza
dell'illuminismo, recandone il segno, potendola ora conservare in un qualcosa che
ne costituisca la spiritualità, data l'acquisita coscienza del progresso. Nel racconto
i lumi si affermano nella Grecia antica, decadono in seguito fra civiltà
romana, cristianesimo ed alto medioevo, per riprendersi dopo le crociate e dopo
le guerre di religione, venendo dunque “i lumi” prima dei lumi; e leggendosi
analogamente l'affermazione che il feudalismo è come fosse sempre esistito sulla
faccia della terra ogniqualvolta un popolo conquistasse il territorio di un altro
sottomettendolo.
La spiritualità che è
il frutto dell'illuminismo è, in quanto “storia”, un che di trasvalutativo, qualcosa
che abbraccia l'umanità intera in un modo obiettivo, come popoli (per cui ad esempio
necessariamente la natura umana passa attraverso ciò che è popolo); la quale
(umanità) nella sua essenza storica obiettiva non sembra più potersi identificare
propriamente con la razionalità (aristocratica) per come ne parlava Voltaire, anche
se non si può negare che nella trasvalutazione qualcosa del trasvalutato si conservi.
Si ha così con la trasvalutazione, non già il cambiamento delle regole ma la
regola.
Ciò che non è
scalfito dalle affermazioni di Condorcet le quali mirano a legare lo “spirito” all'umanismo
delle sensazioni, al discorso del dolore e del piacere, un po' nello stile di
Helvétius, che riconduceva l'attività dello spirito alla sensibilità, e
analizzava la “differenza tra il fisico dell'animale e quello dell'uomo” per
ravvisare in ciò già l'umanità dell'uomo; affermazioni che propongono una immagine
materiale quotidiana di ciò che si dice “lo spirito”.
Il materialismo, per
così dire, e lo spiritualismo, versano in uno stato di fusione, per il fatto
che nei primi anni dell'ottocento avviene che le scoperte scientifiche, attraverso
la coscienza di esse, entrano in quello che è stato definito il clima della
Restaurazione. Il problema è in certo senso anche quello di comprendere sino in
fondo come entrarono, come entrano le scoperte scientifiche in un clima di Restaurazione,
che vada costruito sui progressi scientifici, come una normalizzazione, secondo
ad esempio la proposta del positivismo, facendo s che una conquistata libertà, il
riconoscimento di tale fatto, agisca come l'auriga di Platone, essendo le
passioni il progresso e la possibilità.
Si potrebbe anche dire,
ripensando al valore di rottura insito negli scritti degli illuministi: ora,
nell'ottocento, rispetto ad allora, si ha come il cristianesimo di Costantino, che
è diverso da quello delle catacombe; ma forse non deve sorprendere più di tanto
il fatto che la constatazione stessa di una avvenuta rivoluzione scientifica (mettiamo
da Copernico a Newton) provochi, date certe condizioni storiche materiali e
condizioni dell'animo, nell'animo e nel pensiero filosofico, un effetto di acquetamento
piuttosto che d'inquietudine; anche se, a dire il vero, l'effetto d'inquietudine
può nascere dal nostro pensiero, successivo, che quell'effeto di acquetamento
non debba sorprendere. Questa è la luce nella quale sorge l'idea moderna spirituale
di storia.
Ma: non solo la realtà,
i fatti, che sono materiali, si fanno idea; di più ciò accade perché l'idea
viene a racchiudere in sé quella realtà, la spiritualità è come contenesse eo ipso materialità - laddove la praesumptio, che potremmo dire idealistica,
collima con quella della tecnologia: le macchine, che possono riprodurre il comportamento
umano, oppure la riproducibilità di tutto ciò che sembrava avere un senso se
ritenuto come l'opposto del riproducibile. Oppure: ritenendosi oramai per certo
che nel seicento era nata l'idea del progresso, in quel libro il fatto della nascita
dell'idea di progresso si era fatto idea: per cui l'idea veniva a ricomprendere
in sé il fatto della nascita.
Con il che si sono
descritti l'uno e l'altro aspetto di ciò che quel libro è, stante la sua unità
di libro, rispetto al progresso reale, rispetto a quell'aspetto, molto
importante, del progresso, per cui esso vuole per cos dire
che l'uomo sappia.
Quel primo aspetto in
fondo si traduce nel secondo in un modo tale per cui, secondo una osservazione non
difficile, tutto il negativo (ciò che la negazione è, o significa, o dice di positivo)
nella descrizione storica viene dimenticato, e i conflitti ad esempio possono
essere visti come predestinati al positivo che dovrà seguirne, i regressi, quei
fatti che sono gl'indici del regresso, se la storia è progresso (altrimenti non
è storia) possono sostanzialmente essere ritenuti fattori indispensabili di quasi
conseguenti progressi, profilandosi in ciò il modello, a noi noto, della “storia
come storia della libertà”. Il pensiero ora - si diceva - chiude con
l'esperienza dell'illuminismo. La storia, lo scriverne, e l'istinto, in tal senso,
non è già il disseppellimento, come avveniva nella impostazione critica (di un Pierre
Bayle), o di libero pensiero in generale (di un Montesquieu); ma è la pacificazione
sociale, dopo la rivoluzione nei fatti, la quale è come il disseppellimento. Condorcet
accenna così al fatto che vi fosse chi, come Rousseau, idealizzasse quelle
società presso le quali il progresso si era arrestato, e parimenti rifiuta l'idea,
nostalgica, di un'età dell'oro, e della storia, successiva, come decadenza, allontanamento.
Il suo racconto dunque, per il postulato che si diceva, non concede alla
filosofia il pessimismo, ed in ciò anche di esserwe più sé stessa, ed una
valutazione oggi diremmo più coraggiosa del valore positivo della regressione. Ciò
per significare che a fronte della reazione romantica all'illuminismo, alla rivoluzione
francese, che pur sempre ancora oggi si perpetua, il modelo della storia come
storia dei progressi dello spirito umano appare acerbo, oppure ingenuo; e in fondo,
a ben riflettere, non basta nemmeno dire che quell'ingenuità era tale in quanto
necessaria. Ma l'osservazione critica, non difficile, in realtà non dirime la
questione.
Nulla è lineare, con riferimento al fatto che
il pensiero si provi a ritrarre sé stesso, perché in fondo i regressi sono non
solo tali ma sono anche progresso (secondo la filosofia cristiana, secondo
quella di Nietzsche, secondo una ordinaria saggezza, ecc.), per cui ad esempio
il male è la condizione reale del bene, comunque, se può dirsi che dal momento
che si pensa, o si agisce, si crede nell'uomo e se si ha realismo; e il difetto
può essere ravvisato nel fatto che non siano accettati i veri rapporti fra l'uno
e l'altro, e che il fatto, per definitionem, sia ciò che è accaduto e basta;
che in fondo al progresso sia sufficiente la sua coscienza, ciò che può diseducare
dal punto di vista della sensibilità storica: essendo il principio di
progresso, la sua acquisita coscienza, alla fine un fatto, nella sua materialità,
e potendosi necessariamente avere progresso, secondo l'intuizione nietzscheana,
in ciò che fu, in ciò che sia, la reazione (all'illuministico).
L'ESSENZA
UMANISTICA
Viene suggerita in
fondo nell'Esquisse alla scrittura
storica ciò che si diceva la spiritualità che è il frutto dell'illuminismo, e cioè:
una filosofia, della libertà, rispetto ad esempio al sentimento di colpa che
trapela dalle Istorie del Machiavelli,
dando eo ipso il segno di una presa
di coraggio o di coscienza, ed in ciò di un'astrazione.
Una filosofia nella
quale paiono estremamente avvicinabili l'una all'altra, la possibilità, quale possibilità
di progresso, in ciò umanismo preteso come realizzato, o superumanismo, e la
spiritualità.
Storia, secondo l'immagine
unitaria che è fornita dall' Esquisse,
è la presenza preziosa, unica, dell'uomo, qualificata in un certo modo, ed è quindi
come dire “preziosa coscienza”, incoraggiante. È alla figura dell'uomo nei
termini spirituali, nutriti dalla materialità che si diceva, che va ricondotta,
stando all'Esquisse, la sintesi dei progressi dello spirito in Grecia “in prossimità
del secolo di Alessandro”, dell'“ingegnosa invenzione dei logaritmi” e della “legge
della caduta dei corpi”, scoperta da Galilei. Oppure: è all'uomo che vanno
ricondotte le storie: degli stati e governi, della navigazione e dei commerci,
delle scoperte scientifiche. Ora però, bisogna precisare, l'uomo non era più
l'uomo del quattrocento, se il parlare di spirito umano cambiava il sentimento
storico.
Solo ora, sembra di
poter dire, secondo il modello umanistico proposto dalla cultura illuministica,
nelle superiori condizioni del progresso tecnico e scientifico, sono maturate le
condizioni per l' affermazione dell' umanità dell' uomo, quasi si disponesse
ora di quegli strumenti che erano mancati nel quattrocento quando quell'affermazione
si rivelò impossibile, secondo il suggerimento di Soboul.
L'umanismo che così crede
di potersi realizzare è in certo senso più umanismo, più umano, più concentrato
in sé stesso, di quanto non lo fosse il precedente, quello storico, ancora legato
al passato, oppure - come si è detto - ancora non all' altezza del passato. Ora
non si ha l'indagine storica dell'uomo, che si volge al passato, ma la scoperta
inadeguatezza del passato rispetto al presente e al futuro.
L'immagine della storia
come illustrazione dei progressi umani che siano tutti riconducibili ad uno spirito,
per così dire ancora avvolta nella materialità delle condizioni materiali del
progresso, era destinata a spiritualizzarsi, divenendo quasi irriconoscibile,
nel linguaggio hegeliano.
Il principio di
progresso come principio umano, nato nel seicento, è in altre parole, di conseguenza,
principio che in sé ricomprende la storia reale.
Il fatto, nello scritto di Condorcet, s'era
tramutato per così dire in idea, venendo così l'idea di progresso a ricomprendere il sé la
storia reale.
Che il fatto si sia tramutato
in idea, secondo la caratteristica di quell'illuminismo maturo, è indicato da ciò:
che vi sia alla fine la contrapposizione o l'estraneità della natura, prima
ancora che il legame della continuità, anche nella nostra interpretazione oggi,
tra l'idea e il fatto, oppure che l'idea si dimentichi del fatto, che subentri,
che sia subentrato, nella coscienza e nella interpretazione, uno stato di
scissione; superata la soglia dell'illuminismo ciò accade, e cos da
allora il progresso materiale, rispetto ad una sua qualche forma propria di coscienza,
è divenuto come irriconoscibile. E il dire la storia come progressi dello
spirito umano lascia presagire in sé il passaggio dalla riconoscibilità alla
irriconoscibilità.
Lo spirito hegeliano
non potrà non aver tratto l'alimento da quello spirito umano progressivo (Goethe
che tradusse Le neveau de Rameau, Hegel
che lesse tale traduzione; Goethe che si recò a vedere, in Francia, gli automi,
arruginiti, di Vaucanson; ecc.). Nel cosiddetto “idealismo” hegeliano lo spirito
si presenta come progressivo di per sé stesso, pure però nell’astrazione, per cui
esso appare come staccato dalle cose; vi si legge infatti sul “corso” dello spirito,
che esso “è essenzialmente un progredire”,nell'accentuazione dell'umanismo (“Lo
spirito è[...] risultato di sé medesimo”) nel concetto dell'“autocoscienza”, per
cui la storia tende al sapere di sé dell'umanità come sapere sviluppato dalla
storia.
Dunque in tutto
questo che si è venuti appuntando barlumi sulla idea di storia, cui
l’illumnismo è per solito ritenuto estraneo, legami di certo autorevole illuminismo
con l’idealismo storico che lo avrebbe seguito e dunque in certo modo
presupposto necessariamente; il che se deve valere a sottolinearne la sostanziale
continuità, non deve far sì che l’interprete rimuova le differenze.
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