venerdì 1 novembre 2013

La storia come progressi dello spirito umano: c'era una volta... (a proposito di uno scritto di Condorcet)






I CARATTERI DELLA SPIRITUALITÀ
Jean-Antoine Caritat, marchese di Condorcet



Io ho nella mente, sempre, l’effetto di postulato dello scritto di Condorcet (matematico, economista, filosofo), Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humaine. Mi viene spontaneo descrivere quello che considero in fondo un racconto attraverso la formulazione di due principi, o assiomi: che se vi sono stati progressi dello spirito umano allora vi è stata storia; e prima ancora: che il fatto è progresso. 
Alla storia, al racconto, senza codesti principi, verrebbero come a mancare le ragioni e i presupposti. Oppure sarebbe dato campo libero alla fantasia, al costrutto poetico, figurandosi ancora uno gnomo, o un cavallo che raccontano dell'uomo, scomparso dalla faccia della Terra, in un clima di dopo-storia e anche un po’ leopardianamente; per non parlare del puro e semplice ridire della eclisse del sistema spirituale hegeliano (senza tenere conto del suo valore, storico-obiettivo), le riflessioni di A. Kojève e di chi ne ha tratto alimento attribuendo l'unica autorità, in fatto di teoria dello spirito, al filosofo tedesco. E ora dunque mi domando con riferimento al sette-ottocento: prima i francesi forse che i tedeschi, quali eccellenti sistematori? 

Condorcet, nel momento stesso in cui scrisse un libro nel quale ripercorreva le nove (più la decima, il futuro, stando alla sua classificazione) epoche fondamentali dell'umanità, enumerandone i progressi dal punto di vista della civiltà, scrisse eo ipso una storia e contributo al conio della idea di storia. Il suo “quadro”, realiter, era una storia come il segno dell'avvenuto ingresso, umano, in una diversa sensibilizzazione - rispetto sostanzialmente a quella dell'antichità o del medioevo (cristiano) - con i suoi profondi contenuti di modernità; e nello stesso tempo come il segno di un'acquisita coscienza: non semplicemente del fatto che l'uomo abbia realizzati molti progressi, nel suo cammino ma che vi siano stati progressi, che ciò sia avvenuto per un principio di umanità della ragione e che ciò che esiste sia non semplicemente l'uomo empirico, che per così dire stia, imprigionato, dentro il fatto (come accadeva al modo di scrivere la storia proprio di un Erodoto, secondo Hegel) ma di più lo spirito umano, il quale si presenta come un che di progressivo per definitionem: alla fine cioè in un modo più profondo di quanto non dica l'esperienza di questa o quella invenzione o scoperta.

Il poter parlare di “racconto”, con un fare schiettamente contemporaneo, badando al costrutto letterario della Esquisse, fa venire alla mente una immagine a noi offerta dalla filosofia contemporanea, secondo la quale cominciando la storia cominciano le storie, l'una e le altre essendo in fondo lo stesso, in una prospettiva di conciliazione, dal punto di vista della profondità del pensiero e dal punto di vista della sensibilità, prima ancora, per cosìdire, di ricavare da quella espressione il senso della dissoluzione dell’ “uno” nel “plurale”, che certo vi si ha, necessariamente.
La Esquisse - che ricorda in qualche modo certi congressi dell’industria o certi expo, come si dice oggi, che chiamano a raccolta le nazioni - in fondo prima di essere “la storia” è “una storia”. È a quel modello, a quello stile spirituale, unitario, che si fa riferimento nella proclamazione corrente della cosiddetta “fine della modernità”, e così della storia basata su un principio, duplice, di unità e di progresso, con il loro contenuto di “principio”. È stato presumibilmente a causa dell'oggetto, dell’oggetto materiale e formale creato dall’ingegno umano (la locomotiva di Dessauer, ad esempio), che ad un certo punto quella che era nata come una storia (che si riferiva ai progressi, in forma di racconto, o di mito) racchiudesse in sé la possibilità di tradursi in ciò che è la storia. Il che non nega certo, per quanto affiora dal dire “inizia la storia, iniziano le storie” (Derrida), che la storia, la più spirituale, la più scientifica, si sarebbe potuta liberamente reinterpretare (siamo nel postmoderno, con una diversa sensibilità) come “una storia”, una immagine, o che vi sia possibile opposizione fra l'una e le altre.
La nascita di una storia spirituale si spiega dunque necessariamente con l'idea, il principio di progresso e il progresso, i progressi materiali, il quale si può asserire a questo punto che sia qualcosa che essenzialmente liberi nuove energie, spirituali e materiali, dell'uomo in quanto tale.
Codesto insegnamento può trovarsi, formalmente espresso, nella filosofia della storia di Hegel, il quale sosteneva che maggiore è la crescita della libertà spirituale, della ragione, maggiore ne è la capacità di vedere il profondo e lo spirituale laddove si sia sempre vista particolarità e materialità.
La strada in certo senso era stata già preparata se si considera il seicento quale oggetto del pensiero: come la nascita dell'idea di progresso, e come l'acquisto, in quel momento della storia del pensiero, degli elementi indispensabili per una nascente modernità come nascente sensibilità. Per avere uno schiarimento su che cosa sia codesta nascente sensibilità, si può pensare alla immagine del pendolo dell'orologio, in Nietzsche.
L'Esquisse, si può dire secondo codesto profilo, è e non è la manifestazione della mente del suo autore; di più se ne può cogliere il valore storico-obiettivo, in relazione con l'idea di progresso.
Il valore storico-obiettivo è in ciò: che la coscienza del progresso induce alla riflessione e al bilancio sull'uomo, il quale ha un senso, il quale è l'Umanità, ora, se ha una storia.
Il carattere storico-obiettivo che l'Esquisse aiuta a riconoscere, consiste nel bisogno, che il pensiero filosofico denota in quell'epoca, di riconoscere uno spirito umano, non tradizionalmente religioso.
Che esista uno spirito umano, un che di astratto e di unitario, progressivo per definitionem, trova riscontro, dal punto di vista storico-obiettivo, nonostante le differenze e dunque la possibile contrapposizione fra l'un “spirito” e l'altro, nell’idealismo dialettico, per il quale esso, il “corso” dello spirito, “è essenzialmente un progredire”; e cosìnella teoria storica dello spirito positivo, per la quale l'umanità volge necessariamente, essendo come già segnato il suo cammino, dopo lo stato originario “teologico” e quello successivo, “metafisico”, al regime definitivo della ragione, nell'“ordine”, essendo lo spirito cosiddetto “positivo” qualcosa che già era riconoscibile, nonostante tutto, nello stato teologico, qualcosa insomma che solo può dare la profonda unità storica all'Umanità.
Il bisogno di scrivere la storia come un che di umano, codesto bisogno di un'umanizzazione, e la storia in ciò quale strumento della spiritualizzazione, come metafora dello spirituale, si ha anche nella suggestione dell'uomo primitivo, la quale racchiuda in sé il thema della essenza: una domanda in più, sempre, rispetto alla possibile risposta religiosa.
Per ciò che si è detta la differenza e la possibile contrapposizione rispetto all'idealismo dialettico, in certo qual modo la materialità del progresso nella Esquisse si ha e si conserva, rispetto alla filosofia della storia di Hegel, nell'uso stesso del concetto, ovvero nel regime della riflessione piuttosto che in quello della cosiddetta speculazione.
L'“effetto di postulato”, e cioè il riconoscere come da un racconto, ovvero dal venire ad esistenza di un libro, sui progressi umani, sia desumibile un che di assiomatico, potendosi ritenere astrattamente l'assiomaticità come l'antitesi del racconto, o del romanzo; tale effetto denota, a ben riflettere, la nascita, nella nostra cultura europea, di una storia spirituale, la quale non lo è sic et simpliciter spirituale (secondo uno spirito immutato e preesistente) a causa della cultura teologica, di un cristianesimo illuministico (se così fosse, peraltro, s'incontrerebbe una certa inutilità dal punto di vista della interpretazione) ma piuttosto a causa del suo oggetto. di fronte al progresso, nel quale si ricomprende l'evoluzione della tecnica, e ad esempio per ciò che è un tema importante nei nostri tempi, a quei riflessi storici del progresso che sono nella cosa, che pensando il progresso, ma in realtà per cosìdire vivendolo assai più di quanto non lo si pensi, ci si spiritualizza, si scopre lo spirituale che si annida nel materiale. Laddove i cosiddetti “progressi” sono appunto l'indice o il simbolo di una certa quale materialità, ma lo sono in quanto il pensiero che li pensa è lo spirito, che in essi si riconosce.
I progressi, in generale, sono e non sono i fatti, e se lo sono, in generale e nell'Esquisse, ciò è per la qualità dell'animo o del sentimento che vi si riconosca, quasi vi si proietti, in quanto appunto postosi nella condizione del giudizio; “progresso” in certo senso alla fine è come dire: “questo è bene”, e regresso è come dire “questo è male”; se s'intende con l'intelligenza come quei modi di dire abbiano un valore nella loro trasparenza, rispetto alla quale non è importante ciò che è bene e ciò che è male ma il fatto, stesso, del giudizio. In certo modo si potrebbe sostenere che la storia, spirituale, avente in sé il progresso quale principio, è il frutto del giudizio. Si nota allo stesso tempo come il progresso, dal momento che se ne parla in un libro come l’Esquisse, è attraverso il giudizio che si è potuto tramutare in idea.
ll dato di fatto, che vi sia giudizio, è legato alla, oppure si può spiegare con l'intensificazione, del sentimento umanistico, che è nella ragione che diviene irriconoscibile. Il quale ha il potere morale di tonificare. Storia, secondo l'immagine unitaria che è fornita dall’Esquisse, è la presenza preziosa, unica, dell'uomo, qualificata in un certo modo, ed è quindi come dire “preziosa coscienza”, incoraggiante.
È alla figura dell'uomo nei termini spirituali, nutriti dalla materialità che si diceva, che va ricondotta, stando all'Esquisse, la sintesi dei progressi dello spirito in Grecia “in prossimità del secolo di Alessandro”, dell'“ingegnosa invenzione dei logaritmi” e della “legge della caduta dei corpi”, scoperta da Galilei. Oppure: è all'uomo che vanno ricondotte le storie: degli stati e governi, della navigazione e dei commerci, delle scoperte scientifiche. Ora però, bisogna precisare, l'uomo non era più l'uomo del quattrocento, se il parlare di spirito umano cambiava il sentimento storico.
I “progressi”, ad una più attenta considerazione, appaiono, nella loro essenza di pensiero, come umanismo fattosi pensiero, e dunque quell'effetto di postulato di cui si parlava è legato al fatto, assai lineare nell'apparenza, che in quel libro è il pensiero che si prova a ritrarre sé stesso, come una storia che si offre nei concetti (ben spirituale rispetto ad esempio alle Istorie fiorentine del Machiavelli) con un carattere, suo, di necessità spirituale, e in ciò prima ancora (è il pensiero che si ritrae) come principio e come progresso. Dove si coglie alla fine, ma non tenendosi in piedi la cosa con questa semplificazione d'immagini, che sosta presso rapporti di esteriorità, la presenza dell'idea da una parte, e del progresso storico materiale, in primis come condizioni materiali di progresso, dall'altra.

La storia spirituale, se è il progresso, lo è in quanto necessario spirituale progresso, e quel postulato, per cui se vi sono stati progressi dello spirito umano allora vi è stata storia, dice come la necessità possa entrare, sia entrata a farne parte, nel mondo dello spirito. La storia si può sostenere sia il progresso nel senso che essa è ciò che va, per necessità, verso il suo stesso miglioramento, come un tutto, quasi fosse un organismo ideale, e non ad esempio verso la propria morte. Quella spiritualità, va aggiunto con un breve riferimento alla filosofia sociale dei nostri giorni, ha un suo profondo realismo, e dunque attaccarla, o disconoscerla, può significare derealizzare, mettere in crisi il cosiddetto “principio di realtà”, crisi che quella filosofia (Baudrillard, Vattimo) ha messa in evidenza lasciandone intravvedere il senso normativo.
La spiritualità, così acquisita al modello storico, dopo secoli di “cronache”, va dunque ricollegata all'emergere di  una necessità spirituale, di un'acquisita nuova dimensione della coscienza. La coscienza è tale per cui lo spirito, la  creatività, la scienza, sono la necessità, e il progresso  esiste in un certo senso a prescindere dalla coscienza  storica che se ne abbia.
I progressi, in generale, sono e non sono i fatti. Nell'Esquisse il fatto è come progresso, per quel secondo  postulato del quale si parlava; lo è data la necessità spirituale. L'osservazione coglie nel racconto di Condorcet  come tutto il negativo (ciò che la negazione è, o significa, o dice di positivo) venga quasi dimenticato, come insomma esso volga al positivo. I conflitti ad esempio si può ritenere a ragione siano visti da Condorcet come destinati al positivo che dovrà seguire.
I regressi, quei fatti che sono gl'indici del  regresso, se la storia è progresso (altrimenti non è storia) possono sostanzialmente essere ritenuti fattori indispensabili di quasi conseguenti progressi, profilandosi in ciò il possibile accostamento al  modello, a noi noto, della “storia come storia della libertà” (la quale può essere ritenuta il  frutto e l'espressione dell'entusiasmo, oppure di un distacco dal realismo), ma non, a rigore, solo a codesto modello profondamente liberale; anche invece ad esempio alle riflessioni che s'incontrano in Umano, troppo umano, sulla reazione romantica all'illuminismo come rientrante nel concetto di “possibilità del progresso”.
Si nota in certa quale spiritualità positiva dell'uomo, per cui dalle guerre di religione sarebbe nata la tolleranza in materia di confessione, senza dubbio un cambiamento d'aria rispetto alla condanna ritenuta più strettamente illuministica, della guerra, nella Encyclopédie. E maggiore realismo storico, il realismo che è nel carattere di ciò che si esprime con le parole “necessità spirituale”.  
Ancora, l'osservazione può dire, esprimendosi la cosa (il concetto cioè di necessità spirituale) con altre parole, che la “filosofia” di Condorcet è in fondo quella delle conseguenze necessarie: delle conseguenze necessarie del progresso, e parimenti del progresso come conseguenza necessaria. Ciò che appare come racchiuso nella sensazione: che le rivoluzioni materiali, soprattutto quella di Francia, segnino una penultima epoca, dopo la quale l'affermazione della libertà (ad esempio nelle colonie) e della ragione sarà una conseguenza necessaria; un'epoca dunque della quale si può dire che essa è penultima in quanto già, per un principio, o un fattore dell'entusiasmo, ultima.
Nasce così, secondo il principio di necessità spirituale, il fatto come fatto spirituale, alla luce del progresso reale della scienza e della tecnica. Codesta “spiritualizzazione”, a sua volta, si può considerare come avvenga nei princìpi scientifici, come accade notoriamente per la “gravità” newtoniana, rispetto alle approssimazioni di Cartesio. Come accade che il logaritmo (al quale Condorcet si mostra sensibile) sia una nuova astratta, più spirituale, strumentazione del calcolo, o come si diceva, della geometrizzazione, o meglio: del cervello o del pensiero; in queste progressive astrazioni e nel riconoscimento di sé da parte della ragione consistendo propriamente i lumi.
 Si può dire inoltre che così la macchina, l'automa che si muove, che fa qualche cosa di umano, è per cosìdire spiritualizzazione della macchina, ravvisandosi in ciò che è macchina, col trascorrere del tempo, la legge, per cui essa si allontana dall'evidenza, stessa, della sua meccanicità, come spiritualizzandosi.




SPIRITUALITÀ E RIVOLUZIONE


Io ricollego la spiritualizzazione del fatto al principio di  rivoluzione, affermato dalla scienza, nella quale poi si può comprendere, da un punto di vista meno letterario, come la spiritualizzazione sia avvenuta soprattutto nella scienza - mentre la cosmologia era rimasta stravolta, da Copernico a Newton con la grande accumulazione delle nuove scoperte - e come essendosene accorti alcuni pensatori (ad es. Clairaut, il quale diceva che i Principia di Isacco Newton avevano segnato “l'epoca di una grande rivoluzione nella fisica”).
Laddove tutto ciò che si sta qui dicendo, sulla nascita di una nuova coscienza, significa che la nuova spiritualità, acquisita alla coscienza storica, è una spiritualità data da quello spiritualizzarsi della nozione, ovvero dello strumento scientifico.
Laddove, ancora, quello spiritualizzarsi fu definito rivoluzione, e la spiritualità è quella della rivoluzione. Lo spirito umano, l'umanismo intensissimo che gli è dentro, non è il Gesù dello scritto giovanile hegeliano del Lebens Jesus; ma la spiritualità stessa del progresso scientifico, la quale si riversa e costituisce il nucleo vitale dell’Esquisse.
Il pensiero si prova a ritrarre sé stesso; lo fa chiudendo  l'esperienza dell'illuminismo, recandone il segno, potendola ora conservare in un qualcosa che ne costituisca la spiritualità, data l'acquisita coscienza del progresso. Nel racconto i lumi si affermano nella Grecia antica, decadono in seguito fra civiltà romana, cristianesimo ed alto medioevo, per riprendersi dopo le crociate e dopo le guerre di religione, venendo dunque “i lumi” prima dei lumi; e leggendosi analogamente l'affermazione che il feudalismo è come fosse sempre esistito sulla faccia della terra ogniqualvolta un popolo conquistasse il territorio di un altro sottomettendolo.
La spiritualità che è il frutto dell'illuminismo è, in quanto “storia”, un che di trasvalutativo, qualcosa che abbraccia l'umanità intera in un modo obiettivo, come popoli (per cui ad esempio necessariamente la natura umana passa attraverso ciò che è popolo); la quale (umanità) nella sua essenza storica obiettiva non sembra più potersi identificare propriamente con la razionalità (aristocratica) per come ne parlava Voltaire, anche se non si può negare che nella trasvalutazione qualcosa del trasvalutato si conservi. Si ha così con la trasvalutazione, non già il cambiamento delle regole ma la regola.
Ciò che non è scalfito dalle affermazioni di Condorcet le quali mirano a legare lo “spirito” all'umanismo delle sensazioni, al discorso del dolore e del piacere, un po' nello stile di Helvétius, che riconduceva l'attività dello spirito alla sensibilità, e analizzava la “differenza tra il fisico dell'animale e quello dell'uomo” per ravvisare in ciò già l'umanità dell'uomo; affermazioni che propongono una immagine materiale quotidiana di ciò che si dice “lo spirito”.

Il materialismo, per così dire, e lo spiritualismo, versano in uno stato di fusione, per il fatto che nei primi anni dell'ottocento avviene che le scoperte scientifiche, attraverso la coscienza di esse, entrano in quello che è stato definito il clima della Restaurazione. Il problema è in certo senso anche quello di comprendere sino in fondo come entrarono, come entrano le scoperte scientifiche in un clima di Restaurazione, che vada costruito sui progressi scientifici, come una normalizzazione, secondo ad esempio la proposta del positivismo, facendo s che una conquistata libertà, il riconoscimento di tale fatto, agisca come l'auriga di Platone, essendo le passioni il progresso e la possibilità.
Si potrebbe anche dire, ripensando al valore di rottura insito negli scritti degli illuministi: ora, nell'ottocento, rispetto ad allora, si ha come il cristianesimo di Costantino, che è diverso da quello delle catacombe; ma forse non deve sorprendere più di tanto il fatto che la constatazione stessa di una avvenuta rivoluzione scientifica (mettiamo da Copernico a Newton) provochi, date certe condizioni storiche materiali e condizioni dell'animo, nell'animo e nel pensiero filosofico, un effetto di acquetamento piuttosto che d'inquietudine; anche se, a dire il vero, l'effetto d'inquietudine può nascere dal nostro pensiero, successivo, che quell'effeto di acquetamento non debba sorprendere. Questa è la luce nella quale sorge l'idea moderna spirituale di storia.
Ma: non solo la realtà, i fatti, che sono materiali, si fanno idea; di più ciò accade perché l'idea viene a racchiudere in sé quella realtà, la spiritualità è come contenesse eo ipso materialità - laddove la praesumptio, che potremmo dire idealistica, collima con quella della tecnologia: le macchine, che possono riprodurre il comportamento umano, oppure la riproducibilità di tutto ciò che sembrava avere un senso se ritenuto come l'opposto del riproducibile. Oppure: ritenendosi oramai per certo che nel seicento era nata l'idea del progresso, in quel libro il fatto della nascita dell'idea di progresso si era fatto idea: per cui l'idea veniva a ricomprendere in sé il fatto della nascita.
Con il che si sono descritti l'uno e l'altro aspetto di ciò che quel libro è, stante la sua unità di libro, rispetto al progresso reale, rispetto a quell'aspetto, molto importante, del progresso, per cui esso vuole per cos dire che l'uomo sappia.
Quel primo aspetto in fondo si traduce nel secondo in un modo tale per cui, secondo una osservazione non difficile, tutto il negativo (ciò che la negazione è, o significa, o dice di positivo) nella descrizione storica viene dimenticato, e i conflitti ad esempio possono essere visti come predestinati al positivo che dovrà seguirne, i regressi, quei fatti che sono gl'indici del regresso, se la storia è progresso (altrimenti non è storia) possono sostanzialmente essere ritenuti fattori indispensabili di quasi conseguenti progressi, profilandosi in ciò il modello, a noi noto, della “storia come storia della libertà”. Il pensiero ora - si diceva - chiude con l'esperienza dell'illuminismo. La storia, lo scriverne, e l'istinto, in tal senso, non è già il disseppellimento, come avveniva nella impostazione critica (di un Pierre Bayle), o di libero pensiero in generale (di un Montesquieu); ma è la pacificazione sociale, dopo la rivoluzione nei fatti, la quale è come il disseppellimento. Condorcet accenna così al fatto che vi fosse chi, come Rousseau, idealizzasse quelle società presso le quali il progresso si era arrestato, e parimenti rifiuta l'idea, nostalgica, di un'età dell'oro, e della storia, successiva, come decadenza, allontanamento. Il suo racconto dunque, per il postulato che si diceva, non concede alla filosofia il pessimismo, ed in ciò anche di esserwe più sé stessa, ed una valutazione oggi diremmo più coraggiosa del valore positivo della regressione. Ciò per significare che a fronte della reazione romantica all'illuminismo, alla rivoluzione francese, che pur sempre ancora oggi si perpetua, il modelo della storia come storia dei progressi dello spirito umano appare acerbo, oppure ingenuo; e in fondo, a ben riflettere, non basta nemmeno dire che quell'ingenuità era tale in quanto necessaria. Ma l'osservazione critica, non difficile, in realtà non dirime la questione.  
 Nulla è lineare, con riferimento al fatto che il pensiero si provi a ritrarre sé stesso, perché in fondo i regressi sono non solo tali ma sono anche progresso (secondo la filosofia cristiana, secondo quella di Nietzsche, secondo una ordinaria saggezza, ecc.), per cui ad esempio il male è la condizione reale del bene, comunque, se può dirsi che dal momento che si pensa, o si agisce, si crede nell'uomo e se si ha realismo; e il difetto può essere ravvisato nel fatto che non siano accettati i veri rapporti fra l'uno e l'altro, e che il fatto, per definitionem, sia ciò che è accaduto e basta; che in fondo al progresso sia sufficiente la sua coscienza, ciò che può diseducare dal punto di vista della sensibilità storica: essendo il principio di progresso, la sua acquisita coscienza, alla fine un fatto, nella sua materialità, e potendosi necessariamente avere progresso, secondo l'intuizione nietzscheana, in ciò che fu, in ciò che sia, la reazione (all'illuministico).




L'ESSENZA UMANISTICA


Viene suggerita in fondo nell'Esquisse alla scrittura storica ciò che si diceva la spiritualità che è il frutto dell'illuminismo, e cioè: una filosofia, della libertà, rispetto ad esempio al sentimento di colpa che trapela dalle Istorie del Machiavelli, dando eo ipso il segno di una presa di coraggio o di coscienza, ed in ciò di un'astrazione.
Una filosofia nella quale paiono estremamente avvicinabili l'una all'altra, la possibilità, quale possibilità di progresso, in ciò umanismo preteso come realizzato, o superumanismo, e la spiritualità.
Storia, secondo l'immagine unitaria che è fornita dall' Esquisse, è la presenza preziosa, unica, dell'uomo, qualificata in un certo modo, ed è quindi come dire “preziosa coscienza”, incoraggiante. È alla figura dell'uomo nei termini spirituali, nutriti dalla materialità che si diceva, che va ricondotta, stando  all'Esquisse, la sintesi dei progressi dello spirito in Grecia “in prossimità del secolo di Alessandro”, dell'“ingegnosa invenzione dei logaritmi” e della “legge della caduta dei corpi”, scoperta da Galilei. Oppure: è all'uomo che vanno ricondotte le storie: degli stati e governi, della navigazione e dei commerci, delle scoperte scientifiche. Ora però, bisogna precisare, l'uomo non era più l'uomo del quattrocento, se il parlare di spirito umano cambiava il sentimento storico.
Solo ora, sembra di poter dire, secondo il modello umanistico proposto dalla cultura illuministica, nelle superiori condizioni del progresso tecnico e scientifico, sono maturate le condizioni per l' affermazione dell' umanità dell' uomo, quasi si disponesse ora di quegli strumenti che erano mancati nel quattrocento quando quell'affermazione si rivelò impossibile, secondo il suggerimento di Soboul.
L'umanismo che così crede di potersi realizzare è in certo senso più umanismo, più umano, più concentrato in sé stesso, di quanto non lo fosse il precedente, quello storico, ancora legato al passato, oppure - come si è detto - ancora non all' altezza del passato. Ora non si ha l'indagine storica dell'uomo, che si volge al passato, ma la scoperta inadeguatezza del passato rispetto al presente e al  futuro.
L'immagine della storia come illustrazione dei progressi umani che siano tutti riconducibili ad uno spirito, per così dire ancora avvolta nella materialità delle condizioni materiali del progresso, era destinata a spiritualizzarsi, divenendo quasi irriconoscibile, nel linguaggio hegeliano.
Il principio di progresso come principio umano, nato nel seicento, è in altre parole, di conseguenza, principio che in sé ricomprende la storia reale.  
 Il fatto, nello scritto di Condorcet, s'era tramutato per così dire in idea, venendo così  l'idea di progresso a ricomprendere il sé la storia reale.
Che il fatto si sia tramutato in idea, secondo la caratteristica di quell'illuminismo maturo, è indicato da ciò: che vi sia alla fine la contrapposizione o l'estraneità della natura, prima ancora che il legame della continuità, anche nella nostra interpretazione oggi, tra l'idea e il fatto, oppure che l'idea si dimentichi del fatto, che subentri, che sia subentrato, nella coscienza e nella interpretazione, uno stato di scissione; superata la soglia dell'illuminismo ciò accade, e cos da allora il progresso materiale, rispetto ad una sua qualche forma propria di coscienza, è divenuto come irriconoscibile. E il dire la storia come progressi dello spirito umano lascia presagire in sé il passaggio dalla riconoscibilità alla irriconoscibilità.  
Lo spirito hegeliano non potrà non aver tratto l'alimento da quello spirito umano progressivo (Goethe che tradusse Le neveau de Rameau, Hegel che lesse tale traduzione; Goethe che si recò a vedere, in Francia, gli automi, arruginiti, di Vaucanson; ecc.). Nel cosiddetto “idealismo” hegeliano lo spirito si presenta come progressivo di per sé stesso, pure però nell’astrazione, per cui esso appare come staccato dalle cose; vi si legge infatti sul “corso” dello spirito, che esso “è essenzialmente un progredire”,nell'accentuazione dell'umanismo (“Lo spirito è[...] risultato di sé medesimo”) nel concetto dell'“autocoscienza”, per cui la storia tende al sapere di sé dell'umanità come sapere sviluppato dalla storia.
Dunque in tutto questo che si è venuti appuntando barlumi sulla idea di storia, cui l’illumnismo è per solito ritenuto estraneo, legami di certo autorevole illuminismo con l’idealismo storico che lo avrebbe seguito e dunque in certo modo presupposto necessariamente; il che se deve valere a sottolinearne la sostanziale continuità, non deve far sì che l’interprete rimuova le differenze.

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