giovedì 14 marzo 2013

La questione di realtà (quaestio de realitate)


(riferimenti tratti dall'e-book Crepuscolo dell'uomo di Gutenberg) 


A un certo punto McLuhan definisce la questione mediologica come la «strutturazione gutenberghiana della realtà»[1]. L’autore cioè stabilisce un legame, un nesso, fra la realtà e il modo di comunicare, ovvero forse più in generale: fra la realtà e la tecnica, in quanto strumentale. (E io aggiungerei: realtà e percezione, ricordando Berkeley.) 
È che nel tramonto della cosiddetta print culture la rielaborazione della realtà - e la realtà che non è più una e si espande - assume un ruolo rilevante. 
Ovvero: che le macchine non da oggi si lascino configurare e riconfigurare non è una prova del loro banale assoggettamento all’uomo e invece di altro, la cui coscienza, al di là delle parole, non è perfettamente tale. 
Ci si può domandare a questo punto: che cosa sta accadendo alla realtà, in questo periodo storico dominato dalla tecnica? Essa è posta in discussione, sì nel suo essere quella vecchia realtà creduta tale e cioè immutabile, per secoli; ma allo stesso tempo: essa è messa in discussione in quanto tale.
Comunque, per conseguenza, ci si può domandare: che cosa è più reale, se la finzione vale in fondo la realtà? Non è essa finzione realtà, se la può sostituire, oppure se è reale ciò che è percepibile? Se la realtà passa sempre attraverso la rappresentazione oppure attraverso il soggetto trascendentale; o se la verità è assorbibile nel fatto stesso della interpretazione?
Su questo piano la teoria del virtuale di Lévy, o l’allegoria della mappa e del territorio, di Baudrillard[2], o l’asserto del medesimo autore per cui l’artificio è il cuore stesso della realtà, sono contributi non irrilevanti e quanto meno evidenziano un problema.
Sembra, in tutto questo, essere caduta una fondamentale distinzione; sembra essersi avverata la profezia di Nietzsche, espressa nelle tesi del Crepuscolo: del «continuare a sognare sapendo di sognare»[3]; ovvero anche: non il mondo vero è morto lasciando che si versasse nell’apparenza, ma «con il mondo vero è morto anche quello apparente»[4].

La questione di realtà, della quale si sta parlando, fa capo a sua volta a una questione di verità, ovvero: ciò che si accetta come tale, ciò che si accetta per essere ciò che è dato. Ma appunto: che cosa ne è di questo in un’epoca in cui tutto secondo quasi una nuova fede e spirito meravigliato è riproducibile, emulabile, duplicabile? Laddove non si dà originale ed agendo direttamente sui sensi mediante dispositivi e trucchi si può far vivere il soggetto in un’altra realtà, come in un ritaglio, o in un errore? In un’epoca nella quale in certo modo si onora il falso? Laddove tutto ciò che si spaccia per reale in fondo lo è, in un modo sovrabbondante, in un surplus
E la verità è tale, in un’epoca siffatta e considerando la pressione psicologica dei media, per cui come si giunge ad asserire che il reale è ciò che è sempre già riprodotto (Baudrillard), così la notizia del momento - che sia fondata o non - è (per il momento, che è ciò che conta) la verità; quale verità, ma certo sul piano della verosimiglianza, essa può, sorprendentemente, quanto una dottrina scientifica, costruita negli anni.
Jean Baudrillard
Si potrebbe dunque pensare così: vi è dunque un reale che sempre precede il reale; laddove è evidente il primato acquisito dalla tecnica - quale arte anche dell’inganno, che chiede complicità ai sensi - anche proprio sulla stessa scienza, che sembra quanto meno cimentarsi di più con il principio o criterio di ceretezza. E laddove l’idea di un “reale che precede” deve far pensare.
Come vi è stata un’epoca nella quale le scienze si sono emancipate dalla fede religiosa ed altra, in cui esse si sono liberate della loro fondazione filosofica, così ora si è nel tempo in cui la tecnica sembra potersi emancipare dalla scienza, e così dalla scienza come dalla “letteratura”, quale sistema di produzione.

La realtà è quella che appare come tale, a causa di certe coordinate percettive e schemi mentali[5], così nell’ovvio della vita quotidiana come nella “grotta” immaginata o sognata da Platone. Essa si trova a un certo punto ad essere relativizzata.
Il fatto che la stampa a caratteri mobili segni, secondo Lévy, una tappa nel cammino storico del virtuale, deve farci riflettere: su quanto la tecnica di stampa e in essa la scrittura lineare, incida sulla realtà. Che in certo modo il realismo e il neorealismo, pensati più attentamente, appaiano portati della tecnica. Il che non necessariamente è confutato dal fatto che la realtà sembri univoca, indubitabile, nel sentimento.
Si torna così a quell’affermazione contenuta nella Galassia Gutenberg, secondo la quale la questione mediologica è - anche - la “strutturazione gutenberghiana della realtà”[6].
Il libro è quindi un mezzo, se come tutti i mezzi esso incide sulla sensibilità e come tale esso fornisce una ma non l’unica rappresentazione o interpretazione delle cose - come non è in grado di fornirla inconfutabilmente, nell’èra più avanzata del virtuale, un medium elettronico.
In altre parole: se il libro è sostituibile, imitabile, negabile, allora lo è anche il suo oggetto, per dire una rappresentazione specifica, ritagliata, tecnicamente data, della realtà.
Laddove - a causa della traduzione di ogni senso spaziale in temporalità e su questo piano della possibilità, quale potenzialità tecnica, in realismo percettivo - anche il principio di evidenza, trattandosi di evidenza sensibile, subisce una profonda trasformazione; perché vi è una evidenza procurata, una evidenza dalla essenza tecnica; vi è cioè - mettiamo - una realtà cinematografica, o una realtà fotografica, o una realtà televisiva, laddove la nuova coscienza, la coscienza postuma di un’età, tenendo conto del principio tecnico, pone la realtà tipografica un po’ sullo stesso piano di quelle, come una qualche struttura di realtà, una verosimiglianza rispetto al vero; laddove vi è una realtà che dice della realtà, essendo la realtà sempre dettata da altra realtà.
Si delinea così, attraverso l’antropologia luhaniana, essendosi insinuata nel pensiero,  per il crescere accanto a una nuova teoria dei sensi di una vena profonda di scetticismo tecnologico, l’idea della realtà come mondo tecnicamente filtrato. Laddove si torna sulla questione della sensibilità e delle percezioni e si è in certo modo nuovamente sensisti, o berkeleiani.
Per dire che se si fa parola di “realismo” o di “neo-realismo”, per usare termini conosciuti ma ora usati non nel modo consueto, è l’effetto (realtà come effetto di realtà) a prendere il sopravvento e si pone l’identità fra reale e artificiale. L’aria per così dire solo intonata da McLuhan trova così il suo riscontro nella mente di un Baudrillard, il quale in una delle sue definizioni sostiene che l’artificio è il “cuore della realtà”.
La realtà, per essere “struttura di realtà”, è effetto, prodotto, non “sostanza”. Ma di più credo di debba ripensare l’artificio come prodotto di una tecnica (il reale come effetto tecnico) ma dicendo di più che vi è una idea trascendentale che unisce tecnica e realtà.
Così la realtà come struttura che si percepisca come tale, dopo che si sia scoperto deipnotizzandosi che essa non è solo quella configurata attraverso la pagina stampata, ma - mettiamo - anche quella fotografica o quella dell’insegna luminosa o quella che solo la tecnica cinematografica può cogliere e rendere, poiché la si rapporta, la si riconduce al medium, è tanto ciò che viene rappresentato o conosciuto quanto ciò che può sempre essere alla fine computato. Laddove il computare implica in modo elementare e di presupposizione il riprodurre, e meglio il produrre come se si riproducesse - rispetto a qualcosa di originario, che è come fosse da sempre, per così dire, uscito di  produzione.




[1] M. McLuhan, The Gutenberg Galaxy, trad. it.: La galassia Gutenberg  - Nascita dell’uomo tipografico, Roma 1995, p. 42.
[2]J. Baudrillard, Simulations; laddove si legge che con l’avvento della simulazione si ha il superamento della coestensività ideale di mappa e territorio e che la dimensione della simulazione è la “miniaturizzazione genetica”.
[3] Fr. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, trad. it. a cura di F. Masini, Roma 1980, p. 23.
[4] Ivi.
[5] Inevitabile l’accostamento fra gli “schemi mentali” e i “tipi cognitivi” di cui parla la semiotica; nella considerazione non solo del valore cui assurge la memoria (richiamando in questo la questione per come era stata posta da Platone e da Aristotele); ma anche della importanza, nell’attività cognitiva, del visivo.
[6] La galassia Gutenberg, p. 42, cit. 

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