(riferimenti tratti dall'e-book Crepuscolo dell'uomo di Gutenberg)
A un
certo punto McLuhan definisce la questione mediologica come la «strutturazione
gutenberghiana della realtà»[1].
L’autore cioè stabilisce un legame, un nesso, fra la realtà e il modo di
comunicare, ovvero forse più in generale: fra la realtà e la tecnica, in quanto
strumentale. (E io aggiungerei: realtà e percezione, ricordando Berkeley.)
È che
nel tramonto della cosiddetta print culture la rielaborazione della realtà - e la realtà che non è più una e si espande - assume
un ruolo rilevante.
Ovvero:
che le macchine non da oggi si lascino configurare e riconfigurare non è una
prova del loro banale assoggettamento all’uomo e invece di altro, la cui coscienza,
al di là delle parole, non è perfettamente tale.
Ci
si può domandare a questo punto: che cosa sta accadendo alla realtà, in questo
periodo storico dominato dalla tecnica? Essa è posta in discussione, sì nel suo
essere quella vecchia realtà creduta tale e cioè immutabile, per secoli; ma
allo stesso tempo: essa è messa in discussione in quanto tale.
Comunque,
per conseguenza, ci si può domandare: che cosa è più reale, se la finzione
vale in fondo la realtà? Non è essa finzione realtà, se la può sostituire,
oppure se è reale ciò che è percepibile? Se la realtà passa sempre attraverso
la rappresentazione oppure attraverso il soggetto trascendentale; o se la
verità è assorbibile nel fatto stesso della interpretazione?
Su questo
piano la teoria del virtuale di Lévy,
o l’allegoria della mappa e del territorio, di Baudrillard[2],
o l’asserto del medesimo autore per cui l’artificio è il cuore stesso della realtà, sono
contributi non irrilevanti e quanto meno evidenziano un problema.
Sembra,
in tutto questo, essere caduta una fondamentale distinzione; sembra essersi
avverata la profezia di Nietzsche,
espressa nelle tesi del Crepuscolo: del «continuare a sognare sapendo di
sognare»[3];
ovvero anche: non il mondo vero è morto lasciando che si versasse
nell’apparenza, ma «con il mondo vero è morto anche quello apparente»[4].
La
questione di realtà, della quale si sta parlando, fa capo a sua volta a una
questione di verità, ovvero: ciò che si accetta come tale, ciò che si accetta
per essere ciò che è dato. Ma appunto: che cosa ne è di questo in un’epoca in
cui tutto secondo quasi una nuova fede e spirito meravigliato è riproducibile, emulabile, duplicabile?
Laddove non si dà originale ed agendo direttamente sui sensi mediante
dispositivi e trucchi si può far vivere il soggetto in un’altra realtà, come in
un ritaglio, o in un errore? In un’epoca nella quale in certo modo si onora il
falso? Laddove tutto ciò che si spaccia per reale in fondo lo è, in un modo sovrabbondante, in un surplus?
E la
verità è tale, in un’epoca siffatta e considerando la pressione psicologica dei
media, per cui come si giunge ad asserire che il reale è ciò che è
sempre già riprodotto
(Baudrillard), così la notizia del momento - che sia fondata o non - è
(per il momento, che è ciò che conta) la verità; quale verità, ma certo sul
piano della verosimiglianza, essa può, sorprendentemente, quanto una dottrina
scientifica, costruita negli anni.
Jean Baudrillard |
Come
vi è stata un’epoca nella quale le scienze si sono emancipate dalla fede
religiosa ed altra, in cui esse si sono liberate della loro fondazione
filosofica, così ora si è nel tempo in cui la tecnica sembra potersi emancipare
dalla scienza, e così dalla scienza come dalla “letteratura”, quale sistema di
produzione.
La
realtà è quella che appare come tale, a causa di certe coordinate percettive e schemi
mentali[5],
così nell’ovvio della vita quotidiana come nella “grotta” immaginata o sognata
da Platone. Essa si trova a un certo punto ad essere relativizzata.
Il
fatto che la stampa a caratteri mobili segni, secondo Lévy, una tappa nel
cammino storico del virtuale, deve farci riflettere: su quanto la tecnica di
stampa e in essa la scrittura lineare, incida sulla realtà. Che in certo modo
il realismo e il neorealismo, pensati più attentamente, appaiano portati della
tecnica. Il che non necessariamente è confutato dal fatto che la realtà sembri
univoca, indubitabile, nel sentimento.
Si torna così a quell’affermazione contenuta nella Galassia
Gutenberg, secondo la quale la questione mediologica è - anche - la “strutturazione
gutenberghiana della realtà”[6].
Il
libro è quindi un mezzo, se come tutti i mezzi esso incide sulla sensibilità e
come tale esso fornisce una ma non l’unica rappresentazione o interpretazione
delle cose - come non è in grado di fornirla inconfutabilmente, nell’èra più
avanzata del virtuale, un medium elettronico.
In altre
parole: se il libro è sostituibile, imitabile, negabile, allora lo è anche il
suo oggetto, per dire una rappresentazione specifica, ritagliata, tecnicamente
data, della realtà.
Laddove
- a causa della traduzione di ogni senso spaziale in temporalità e su questo
piano della possibilità, quale potenzialità tecnica, in realismo percettivo -
anche il principio di evidenza,
trattandosi di evidenza sensibile, subisce una profonda trasformazione; perché
vi è una evidenza procurata, una evidenza dalla essenza tecnica; vi è cioè -
mettiamo - una realtà cinematografica, o una realtà fotografica, o una realtà
televisiva, laddove la nuova coscienza, la coscienza postuma di un’età, tenendo
conto del principio tecnico, pone la realtà tipografica un po’ sullo stesso
piano di quelle, come una qualche struttura di realtà, una verosimiglianza
rispetto al vero; laddove vi è una realtà che dice della realtà, essendo la realtà
sempre dettata da altra realtà.
Si
delinea così, attraverso l’antropologia luhaniana, essendosi insinuata nel
pensiero, per il crescere accanto a una
nuova teoria dei sensi di una vena profonda di scetticismo tecnologico, l’idea
della realtà come mondo tecnicamente filtrato. Laddove si torna sulla
questione della sensibilità e delle percezioni e si è in certo modo nuovamente
sensisti, o berkeleiani.
Per dire
che se si fa parola di “realismo” o di “neo-realismo”, per usare termini
conosciuti ma ora usati non nel modo consueto, è l’effetto (realtà come
effetto di realtà) a prendere il sopravvento e si pone l’identità fra reale e
artificiale. L’aria per così dire solo intonata da McLuhan trova così il suo
riscontro nella mente di un Baudrillard, il quale in una delle sue definizioni
sostiene che l’artificio è il “cuore della realtà”.
La
realtà, per essere “struttura di realtà”, è effetto, prodotto, non “sostanza”. Ma
di più credo di debba ripensare l’artificio come prodotto di una tecnica (il
reale come effetto tecnico) ma dicendo di più che vi è una idea trascendentale
che unisce tecnica e realtà.
Così la realtà come struttura che si percepisca come tale,
dopo che si sia scoperto deipnotizzandosi che essa non è solo quella
configurata attraverso la pagina stampata, ma - mettiamo - anche quella
fotografica o quella dell’insegna luminosa o quella che solo la tecnica
cinematografica può cogliere e rendere, poiché la si rapporta, la si riconduce
al medium, è tanto ciò che viene rappresentato o conosciuto quanto ciò
che può sempre essere alla fine computato. Laddove il computare implica
in modo elementare e di presupposizione il riprodurre, e meglio il produrre
come se si riproducesse - rispetto a qualcosa di originario, che è come fosse
da sempre, per così dire, uscito di
produzione.
[1] M. McLuhan, The
Gutenberg Galaxy, trad. it.: La galassia Gutenberg - Nascita dell’uomo
tipografico, Roma 1995, p. 42.
[2]J. Baudrillard, Simulations; laddove si legge che con
l’avvento della simulazione si ha il superamento della coestensività ideale di
mappa e territorio e che la dimensione della simulazione è la
“miniaturizzazione genetica”.
[4] Ivi.
[5] Inevitabile
l’accostamento fra gli “schemi mentali” e i “tipi cognitivi” di cui parla la
semiotica; nella considerazione non solo del valore cui assurge la memoria
(richiamando in questo la questione per come era stata posta da Platone e da
Aristotele); ma anche della importanza, nell’attività cognitiva, del visivo.
[6] La galassia
Gutenberg, p. 42, cit.
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